Le forme del possibile
Sono stati sussurri di caravanserraglio, forse vanteríe di carovaniere a spingere fin qui il mercante, a cavallo di voci che fantasticavano di una città smarrita lungo le rotte della seta. Le dita incerte su grani di preghiere, aggrappato ai passi ciechi di una fede che non si vuole delusa, è giunto fin qui il pellegrino, strappato al suo romitaggio dal racconto estatico di un monaco. Il marinaio vi si imbatte inopinatamente a imbocco d'ansa, nel giorno sesto di una navigazione piatta e monotona, lungo l'Ayeyarwady. A lui, che solo ha negli occhi il mare, quell'orizzonte frastagliato di pietra sembra un miraggio. A volerlo nominare, quell'incanto sarebbe Bagan. A saperla guardare, una teoria sterminata di edifici religiosi: zedi bulbiformi, patho di pietra antica, e poi reliquiari, templi, bianchezza di cattedrali intruse e riverenza di terrazze assolate... A metterci piede, però, un senso di vuoto avvelena inesorabilmente la meraviglia; e ciò che di lontano ammaliava ora sgomenta. Perché Bagan è priva di ogni via di comunicazione, di qualunque tessuto connettivo tra i vari stupa. Sola nella solitudine di ogni suo zedi è Bagan: una città di omissis, di parole perdute, pervasa di assenza. Dialoghi perduti si intrecciano e si perdono in lei, tra mille e mille solitari templi. A Bagan infatti non ci sono strade battute, e presto il visitatore si smarrisce davanti alla varietà di tratturi mulattiere saliscendi che a lui proprio non riesce di immaginare, quadrivi e biforcazioni di cui vede benissimo l'esito, ma quello e quello soltanto, e non il tracciato che vi conduce. Lo sconforto quasi lo assale mentre traccia passi ignoti lungo direttrici inconsce. Raccontano le cronache che, incapaci di scegliere tra le infinite variazioni del possibile e raccapricciati all'idea di escludere anche una sola delle sue eventuali ramificazioni, gli abitanti di Bagan vollero che ognuno dei futuri visitatori potesse disperdere nel vento i propri passi, affidando al caso la tracciatura urbanistica della città. Impreparati a simile arbitrio, alcuni viaggiatori si affidano al capriccio degli astragali: se mai le loro traiettorie potessero incrociarsi, li si vedrebbe specularmente intenti a scrutare il proprio destino nel rotolare di ossi di pecora. Ma questo non avviene mai, perché a Bagan questa eventualità non è data nelle infinite e mutevoli forme del possibile. Antonello Bacci e Marco Graffi