Racconti di Viaggio

Racconti di Viaggio

La Patagonia è considerata da molti la terra della libertà e della solitudine più estreme ed è con questa idea che decidiamo di partire.  Il nostro viaggio toccherà varie zone dell'Argentina e del Cile, ma comprenderà anche questo lembo di terra così affascinante nel sud del mondo.  Arriviamo a El Calafate dopo un viaggio estenuante via terra, ma ne vale la pena, perché la zona dei ghiacciai, primo fra tutti il famoso Perito Moreno, è incredibile, così come si rivela un esperienza entusiasmante atterrare ad Ushuaia.  Quando inizia la discesa, al di sotto delle nuvole, ci ritroviamo improvvisamente ad osservare intimoriti l imponenza delle montagne che ci circondano.  La neve ricopre le cime e, avvicinandoci sempre di più alla superficie, sotto i nostri occhi ci sembra di osservare una carta geografica: canali tortuosi che s insinuano come dei serpenti nella terra.  Siamo arrivati ad Ushuaia, la città alla fine del mondo, come non credere a questa affermazione?! L'atmosfera che si respira ci fa immaginare come doveva essere quando arrivarono i primi coloni, galeotti obbligati a scontare qui la loro pena a vita.  Non c''era nessuna possibilità o speranza di fuga in questo luogo così remoto ed ostile.  Eppure ora noi riusciamo a goderci la bellezza del Parco della Terra del Fuoco anche se, i danni fatti dai castori, sono talmente evidenti da stravolgere il paesaggio circostante.  Lasciamo Ushuaia per Punta Arenas, entrando così nella Patagonia cilena.  Anche qui l'aspetto è quello di una cittadina estrema: al porto immense navi oceanografiche sono pronte a salpare per l'Antartide.  Ci sembra di essere arrivati ad un punto al di là del quale non c'è più niente.  Ed è un'esperienza particolare anche il tragitto in bus fino a Puerto Natales: chilometri e chilometri di terra piatta e desolata, in cui la polvere penetra in ogni poro e la sensazione di essere abbandonati è tangibile.  Da Puerto Natales visitiamo un altro parco che meriterebbe da solo un viaggio: il Parco Torres del Paine.  Le possibilità di effettuare dei trekking sono le più disparate, se il tempo lo consente, ed infatti noi non siamo così fortunati e la pioggia non ci concede tregua per tutto il giorno.  Quale migliore scusa per tornare nuovamente in Patagonia?!



Alessandra Rossi


Dici Kenya, e pensi safari. O mare, la costa swahili. Giusto così, sia chiaro, anche perché è così che il Kenya ha voluto farsi conoscere al mondo: leoni e palme da cocco. Allo stesso tempo, però, riduttivo. Perché, tra le tante altre cose, il Kenya è una delle migliori destinazioni di birdwatching al mondo, con oltre 1.000 specie di uccelli e una varietà di habitat con pochi eguali nel continente africano. Quindi, se sei un appassionato, fai quello che ho fatto io a Natale: una telefonata a Pietro, perché quando si parte il primo punto di contatto per me è sempre la Darwin Viaggi, un volo su Nairobi, e qualche mail a uno dei numerosi e bravissimi operatori locali specializzati in birdwatching. Tutto sommato, nulla di particolarmente complicato.



Ora, la cosa spiazzante è l'itinerario. Perché magari ti aspetti di leggere Masai Mara (spoiler: c'è), Amboseli, Lake Naukuru, Samburu (parco negletto ma assolutamente straordinario), e invece i nomi delle aree da visitare non ti dicono molto. Così inizi a chiederti se davvero ne valga la pena e se non stai andando incontro a una delusione. D'altronde, pensi, se non ci va quasi nessuno un motivo ci sarà. O forse no.



Si parte, prima tappa Lake Naivasha. Elsamere Lodge, la leonessa Elsa, Nata Libera per chi ricorda ancora la TV in bianco e nero. Bellissimi panorami, risveglio favorito, diciamo così, dal verso delle tantissime aquile pescatrici africane appollaiate sugli alberi. Essendo a sole due ore di macchina da Nairobi, i locali non disdegnano una gita sul lago, che comunque difficilmente potrebbe essere definito come affollato. Come primo impatto, siamo piacevolmente sorpresi dalla varietà e dalla quantità di uccelli, oltre che dalla facilità di avvistamento (peraltro i laghi da questo punto di vista raramente deludono). Neanche il tempo di scendere dalla barca, e via che si risale in macchina. Prossima tappa…



…Il Masai Mara. Lo avevo già visitato anni fa nello stesso periodo e mi era piaciuto moltissimo, ora lo ritrovo completamente diverso. La stagione delle piogge non è ancora finita quest'anno, il cielo azzurrissimo è venato di nuvole bianche, la temperatura è piacevolmente fresca e si dorme che è un piacere. La stagione, tra l'altro, è ideale: molte specie di uccelli si mostrano nel loro piumaggio nuziale ed è uno spettacolo cui è difficile restare indifferenti. Siamo spesso soli, in giro per il parco, vuoi perché ci addentriamo in zone meno battute (ma non meno belle) o perché la ricerca ossessiva dei felini calamita molte delle macchine negli stessi posti. Tra avvistamenti alati, battute di caccia delle iene, ghepardi sonnolenti e branchi di elefanti le giornate volano, ed è già ora di voltare pagina.



Misteri del turismo. Perché quando arriva l'ora di pranzo, al Ruma National Park, ci rendiamo conto di essere l'unica jeep nel parco. Intorno a noi, giraffe elefanti e rinoceronti ricambiano il nostro sguardo sconcertato, mentre ci dirigiamo verso una delle poche aree al mondo dove osservare la bellissima antilope roana (non facilissimo, comunque). L'avifauna è clamorosa, e se la coppia di turachi di Ross che ci sorvola ci lascia a bocca aperta il resto degli avvistamenti non è certo da meno. È vero, non ci sono i felini. Ma la famiglia di rinoceronti con cucciolo che ci blocca la strada non ce li fa rimpiangere, per oggi.



Che il Kenya fosse, in tempi neanche troppo remoti, una colonia britannica è cosa nota. Ma alloggiare al Rondo Retreat Centre, nel bel mezzo della foresta di Kakamega, resta nondimeno un'esperienza straniante a dir poco. Un'affascinante struttura di metà novecento circondata da giardini all'inglese, oggi centro di preghiera, con un ristorante in cui camerieri di colore servono, in guanti bianchi, dell'ottimo cibo inglese (qualcuno avrà colto l'ossimoro). La foresta pluviale ospita primati e mammiferi vari, incluse varie specie di felini teorici (una sottospecie molto diffusa e rarissimamente visibile, spesso presentata come la grande attrazione di numerosi parchi e aree protette). Qui gli orari delle escursioni sono dettati dalla pioggia, che arriva puntuale alle cinque come il tè degli inglesi – e altrettanto fastidiosa. Ma a tutto c'è rimedio: basta sedersi in veranda a guardare i buceri in giardino con una tazza di masala chai per tornare a essere felici.



Ultimo ma non ultimo, il Lake Baringo. Ennesimo cambio di prospettiva, qui il fondale di scena è arido e secco, arbusti bassi e spinosi (aggettivo che uso a ragion veduta, se capite quello che intendo) e dirupi come scogliere di terra. C'è il lago, bellissimo, che ci regala migliaia di aironi, martin pescatori e tessitori. E poi c'è una savana apparentemente brulla e desolata, terra riarsa e apparentemente inospitale. Disabitata, se non fosse per una coppia di guide locali che come per magia tirano fuori decine di specie di uccelli mai visti prima, fino al gran finale a base di rapaci notturni.



Il viaggio finisce qui, senza aver nominato neanche en passant i vertiginosi panorami della Rift Valley, gli ippopotami e i coccodrilli del Masai Mara, i gruccioni gli storni e le nettarinie dai colori sgargianti. Un esercizio di natura, condiviso con una coppia di amici e pochissimi altri bipedi. Un modo diverso, ma straordinariamente affascinante, di (ri)scoprire il Kenya.
Primo movimento - Nel paese dell'assenza apparente

Abbiamo girato intorno a questo viaggio per anni, discussioni di sì e di no, perché l'Africa senza leoni ed elefanti, che Africa è?, finché spinti dai racconti entusiastici di alcuni amici non abbiamo deciso di metterci in cammino. Ed è solo lì abbiamo capito. Abbiamo capito che quello che credevamo essere un'assenza in realtà era altro, qualcosa che richiedeva uno sguardo più acuto, penetrante, in grado di andare oltre l'evidenza apparente. Una capacità di lasciare il cuore libero di battere ritmi ignoti, di gioire per le piccole cose. Uno spogliarsi delle aspettative per accogliere la realtà di quei luoghi in ogni sua forma. E allora abbiamo smesso di cercare quello che non c'era e iniziato a guardare quello che c'era, e quello che c'era ci ha regalato sensazioni che ancora adesso non smettono di emozionarci.



Secondo movimento – Maestoso

E poi eccoli lì, i baobab. Imperturbabili lungo la strada, la pelle bruciata dal sole. Raccolti in piccoli gruppi, i rami intrecciati dietro la schiena. Molti in fila indiana, vittime di un incantesimo durante la lunga transumanza verso il mare. A volte spaiati, lo sguardo smarrito, piantati lì alla come capita nel bel mezzo del nulla, senza uno straccio di spiegazione. Alcuni si abbracciano, altri hanno scelto un'esistenza più pudica ma mai sdegnosa. Da migliaia di anni vegliano sugli uomini e sulle terre, e se la salute li assisterà continueranno a farlo per molto tempo ancora. Al di là del bene e del male, immobili, maestosi.



Terzo movimento – Molto, molto mosso

Le buche, in Madagascar, sono di due tipi: quelle con la strada intorno e quelle senza. Le prime però sono molto più frequenti, e non è esagerazione dire che tutta la rete stradale malgascia rientra nella prima categoria. Spostarsi in Madagascar è una continua onomatopea di sussulti, sbandamenti, imprecazioni trattenute a stento, preghiere di quantomanca e colpi sordi ai finestrini: cicatrici di una terra bellissima da avercela sotto i piedi ma decisamente meno se devi poggiarci le ruote.



Quarto movimento – Felicitas per aquam

Il mare. Difficile spiegare come sia finito lì, a fare da controcanto liquido a questa terra aspra. Forse un atto di misericordia, o forse un momento di distrazione, chissà. Trovarlo, non è neanche così facile. Non si annuncia spavaldo di brezza e salsedine, e spesso si nasconde silenzioso dietro dune di sabbia bianchissima. Un gigante turchese che culla le barche dei pescatori e specchia la luna, che quando lo guardi te ne cola una goccia dagli occhi. Una goccia di felicità.



Quinto movimento - Finale

Molto, molto altro si vorrebbe dire del Madagascar. Enumerare però è atto da contabili, che mal si addice al viaggiatore. E allora, che sia una musica a raccontarlo. Un tempo largo, che accolga ogni sfumatura di questa terra. Una sinfonia degli addii, mentre la nebbia inghiotte le risaie, le pietre dell'Isalo si infiammano di un ultimo tramonto, voci e volti sfumano nell'ennesima notte stellata. Un volo di succiacapre, un lemure che si accoccola tra le fronde. Poi, il silenzio. Non imponibile IVA ai sensi dell' art. 9 DPR 633/1972

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Emessa ai sensi dell' art. 9 comma 8 Decreto Legislativo del 2

Settembre 1997 nø 314
Sono passati circa 5 anni dal mio ultimo viaggio in Kenya e se avrete voglia di leggere queste righe, proverò a spiegare con parole ciò che di immenso i miei occhi hanno colto e trasmesso alla mia mente affinché ne custodisse vivo il ricordo. Arrivata all aeroporto di Mombasa già noto le prime differenze con il Nostro Mondo, e mi accorgo che qui la gente sorride, saluta si prende cura di te anche se non ti conosce ed è la prima volta che ti vede e mi fa strano e rifletto sul perché noi civilizzati non sorridiamo mai, siamo sempre arrabbiati anche quando andiamo in vacanza, così scontrosi, ostili con gli altri eppure, penso io, basterebbe solo un  ben arrivato ,  buongiorno ,  arrivederci ! Quindi perplessa e pensierosa mi avvicino al ragazzo del transfer che mi accompagna su un pulmino vecchio e mal messo che una volta raccolto tutti gli interessati, ci avrebbe condotti nella struttura prescelta. Arriviamo in questo piccolo boutique hotel che da subito si capisce essere un ambiente molto accogliente ed intimo…ed anche qui non si fa altro che salutare sempre e comunque a tutte le ore ed in qualsiasi momento. Ad ogni Jambo (questa è la parola in lingua swahili per dire Ciao) sulla mia bocca si stampa un sorriso ed io mi sento meglio. Le giornate qui in questo resort dall atmosfera magica, trascorrono all insegna del relax e dalla pace assoluta, sembra come se il tempo si sia fermato e mi spaventa il fatto che prima o poi dovrò tornare alla vita caotica di sempre, ma questo si sa fa parte del viaggio, quindi cerco di non pensare e continuo a vivere questo sogno. Sapevo che sarebbe stato emozionante e che non sarei potuta ripartire senza aver fatto il safari, d'altronde era stato quello il motivo del mio viaggio quindi non ci penso due volte…domani si parte per lo Twavo Est! Trascorro la notte pensando a quello che avrei visto, un turbinio di immagini confuse scorrevano nella mia mente, animali, colori, luoghi, sensazioni, ero davvero emozionata. La mattina ad attendere me ed altri ospiti del Resort un pulmino anche questo mal ridotto, che in circa 3 ore e mezza ci avrebbe portato al campo tendato dove avremmo trascorso la notte…per quanto io possa essere precisa nel descrivere ogni minimo particolare, non riuscirei a trasmettere le sensazioni che si provano durante un ‘esperienza simile, il safari è il momento in cui ti accorgi di quanto immensa e feroce sia la natura e di quanto si lasci vivere in totale sicurezza purché la si rispetti e ci si avvicini in punta di piedi. Così mentre fai un safari può ascoltare in silenzio il fruscio delle boscaglia mossa dagli animali che si muovo intorno a te, l odore della savana di un colore rosso intenso quasi indelebile, i suoni della natura e tu solo uno spettatore che assiste impotente a questo spettacolo dove i grandi predatori si muovono secondo delle leggi ben precise, le leggi che regolano il ciclo della vita. Ed ecco che, prima di andare a cena, dopo aver concluso una piacevolissima giornata di safari alla ricerca dei Big Five (cosi vengono chiamati leoni, bufali, elefanti, leopardi e rinoceronti), mi trovo ad assistere a quanto di più bello ed unico poteva capitarmi, una scena di caccia che prima di allora avevo visto solo nei documentari in tv: da lontano sette leonesse belle e maestose abbattersi su di un elefante mentre ignaro di ciò che gli stava per accadere, continuava a bere in una pozza d acqua posizionata a circa 10 metri di distanza da noi, probabilmente abbandonato dal branco perché malato. In quel momento avrei voluto urlare a quel povero elefante di andarsene, di girarsi, di scappare, ma nulla siamo rimasti tutti li a bocca aperta e le lacrime agli occhi per l immensa gioia e allo stesso tempo tristezza di assistere ad un evento simile. Il mio safari era terminato, avevo contratto una malattia nota a tutti il mal d Africa! Ora bisognava tornare alla vita reale dove gli animali della savana siamo noi e la savana la città nella quale viviamo fatta anche questa di colori, suoni, persone che nemmeno vagamente ricordano il Paese dai mille volti.
Chiara Narcisi
A come Aborigeni – Custodi della terra australe, vivono in pace da 40.000 con le loro facce pasoliniane e la loro cosmogonia fantastica. I bianchi arrivati qui li consideravano inferiori perché non conoscevano la ruota. Ma provateci voi, a spostarvi per il deserto su un carro trainato da canguri…B come Barna Mia – Uno dei segreti meglio custoditi del WA, un fazzoletto di foresta primigenia assediato da ettari di terreni agricoli, un alfabeto di alberi che racconta una meravigliosa storia di evoluzione. E la possibilità di vedere molti dei più rari e straordinari marsupiali di questa terra.B (2) come Birra – Prosperano le microbirrerie, nel mondo sottosopra, e molte sono di assoluto livello. Per gli appassionati (e a giudicare dalle pance, qui in WA ce n'è un bel po'), una vera goduria!C come Cielo – Qui, il cielo è uno sterminato pascolo di nuvole.D come Delfini – A Monkey Mia sciabordano inopinatamente a riva di mare, liberi, in pochi centimetri d'acqua, dove una carezza trattenuta è gesto di rispetto. Un'esperienza spiazzante, unica nel suo genere, anche se personalmente li ho trovati più emozionanti in mare aperto.E come Echidna –F comeG come Guida a sinistra – Un po' di fatica si fa, all'inizio, e magari nel traffico di Perth non è proprio intuitiva. Ma basta lasciarsi alle spalle la città e il traffico si dirada fino ad dissolversi completamente procedendo verso nord. E la guida a sinistra cessa di essere un problema.G come Galah – Stravaganti pappagalli in livrea rosa confetto che accompagneranno il vostro viaggio con un incessante chiacchiericcio. Ce n'è talmente tanti che alla fine ti dimentichi quanto siano belli...H come Hotel – Ma anche come B&B, lodge, ostelli, etc. Poca roba qui nel WA, gli alloggi da questa parte del mondo sono pochi, costosi e/o spesso pieni. Prenotate in anticipo, siate pronti ad adattarvi e fate ricorso all'arte di arrangiarvi. Se invece siete adepti della setta dei campeggiatori/camperisti, le cose vanno molto meglio: i sandgropers (v.) sono anime itineranti e si sono costruiti un paese a loro immagine e somiglianza.I come Inglese – Non parlate inglese? Nessun problema, neanche i sandgropers (v.). Armatevi di pazienza e senso dell'umorismo, tirate fuori le mani dalle tasche e iniziate a gesticolare: siamo pur sempre italiani, no?K come Kalbarri, Karijini, Kakadu, Kimberly… – La Terra Primigenia per eccellenza, da sorvolare camminare guadare fino allo sfinimento.J comeL come Leeuwin Estate –M come Margaret River – La regione vinicola del WA è assolutamente magnifica. Pappagalli, eucalipti e uno shiraz sopraffino.N come Ningaloo Reef – Ce ne vuole, per arrivare fin qua. Ma se siete venuti in Western Australia, e avete avuto la pazienza e la caparbietà di guidare fino a Coral Bay e non vi siete fatti scoraggiare dall'infimità del luogo, fate un ultimo, decisivo sforzo: salite su una barca. Rovesciate la prospettiva, e scoprirete un mare che non ha nulla da invidiare alle Maldive e soprattutto una fauna con pochi uguali al mondo. Squali balena, delfini, tartarughe, dugonghi, balene, mante, razze, squali, pesci tropicali e una barriera a tratti straordinaria, il tutto a portata di snorkelling. Ah, dimenticavo la cosa forse più importante: sarete (quasi) soli, quassù.O come Orari (dei negozi) – Dalle 10 di mattina alle 5 di pomeriggio. Il che sarebbe un problema, se ci fossero davvero dei negozi e qualcosa da comprare. Tranquilli: non c'è nulla di tutto questo, in WA…O (2) come Off the beaten track – Se siete alla ricerca di sentieri poco battuti, meraviglie sconosciute dagli stessi locali, folgorazioni inattese, sappiate che qui ci sono alcuni dei luoghi più belli e meno frequentati del pianeta.P come Previsioni del tempo – Da inaffidabili a completamente inaffidabili, con rovesci temporaleschi in giornate assolate e concezione surrealista della nuvolosità, soprattutto lungo la costa.Q come Quando andare – Prima possibile. OK, scherzi a parte, tutte le stagioni sono buone ma con qualche distinguo. Se intendete salire verso nord, e soprattutto verso il Kimberley e il Kakadu NP, è preferibile la nostra estate; per la zona a sud, il nostro inverno corrisponde alla piena estate australe e il tempo sarà magnifico. Primavera ed autunno sono eccellenti compromessi in entrambe le aree.R come Roadhouse –S come Sandgropers – Abitanti del WA. Esseri umani piuttosto rudimentali (soprattutto al nord), schietti, eminentemente pratici e vagamente omerici (nel senso di Homer Simpson). Si spostano su macchine enormi, spesso in compagnia di roulotte, camper e motoscafi. Parlano una lingua tutta loro ma a differenza di altri non tentano di spacciarla per inglese (v.).T come Telstra – La principale compagnia telefonica qui in WA, quella che garantisce la migliore copertura e, a detta dei locali, la peggiore assistenza. Ma basta comprare una scheda e un mese (30 dollari) di credito, e potrete parlare, inviare SMS e navigare in Internet a volontà.T (2) come Tree Top Walk –U come Unesco – Ha recentemente riconosciuto il Ningaloo Reef (v.) come World Heritage Site. Ma se avrete la fortuna di girare un po' il WA, la domanda che vi porrete più spesso sarà, e questo perché non è patrimonio dell'umanità?V come VinoY comeW come Whale Watching – Assolutamente fantastico lungo tutta la costa, a Ningaloo abbiamo visto nuotare e spanciarsi centinaia di megattere. Uno spettacolo indimenticabile, un'allegria del cuore.W come Windawarri Lodge (Tom Price) – Se volete visitare il Karijini, dovrete alloggiare al Windawarri Lodge, la struttura ricettiva della società mineraria Rio Tinto dove, per un prezzo che a Parigi che vi garantirebbe una suite al Ritz, avrete diritto ad una camera monacale con un abbozzo di bagno, ad essere svegliati ogni mattina alle tre e mezzo da un corteo di caterpillar e a mangiare in compagnia delle maestranze locali in una mensa aziendale che la sera apre alle 4 e chiude alle 8.30, dove è vietato entrare con scarponi e braccia nude e in cui i cibi sono contrassegnati da un cartellino con il relativo apporto nutrizionale. Detto questo, il Karijini (v.) è una meraviglia assoluta.Z comediAntonello Bacci



Il ritorno dalla Giordania è stato molto simile a quello degli altri viaggi che ho avuto la fortuna di fare nella mia vita. Un senso di dolce melanconia pervade il mio essere ad ogni piccolo ricordo dei luoghi visitati e degli spettacoli della natura e dell ingegno dell uomo.



È trascorsa una settimana da quando attendevo con mestizia il volo per Roma, volo che stava a significare il mio rientro nella realtà di tutti i giorni, quella fatta dal correre a 100 all ora, dalle bollette da pagare, dalle gioie delle amicizie e dell amore, dalle rotture di scatole del lavoro.



Una dolce tristezza che ti attanaglia l animo perché sai di tornare alla normalità e sai che un pezzo di te è stato lasciato in un altro posto del mondo, un posto che forse non avrai più il tempo o la voglia di visitare.



Ho deciso di andare in Giordania perché è un paese che mi ha sempre attratto, un paese dove il contrasto, benché attenuato, tra le varie culture e religioni è palpabile in ogni dove.



Un paese che, a differenza dei suoi cugini, è riuscito faticosamente ad instaurare una stabilità politica e sociale tale da permettere alla popolazione di vivere con una certa tranquillità, senza dover paurosamente attendere ad ogni momento un attentato o qualche atto di discriminazione razziale o religiosa.



Perché la Giordania è stata per secoli il crocevia di tante culture e tanti popoli.



Una terra nella quale la gente ha imparato pian piano ad apprezzare le diversità, a capire che l essere differenti non rappresenta necessariamente un pericolo ma forse un opportunità.



Prima di partire me la immaginavo come una zona del mondo desertica o quasi ed invece ho avuto la piacevole sorpresa di scoprire che, nonostante l acqua la abbeveri scarsamente, molti tratti sono caratterizzati da zone lussureggianti di verde, boschi, pinete e coltivazioni di frutta ed ortaggi.



La zona a nord di Amman, sulla quale poi tornerò, ha quali mete importanti ed assolutamente da visitare Gadara e Gerasa.



Entrambe offrono allo spettatore resti di antiche città romane, segno della dominazione avvenuta all incirca verso il I secolo D.C.



Gadara, cittadina costruita quasi per intero con il basalto che ne da, a tratti, un aspetto tetro, offre sicuramente meno rispetto a Gerasa ma, a dispetto della più sontuosa sorella, ti regala una spettacolare panoramica su tutta la zona circostante tra cui anche il lago Tiberiade, meglio conosciuto come Mare di Galilea, si proprio quello ove Gesù fece uno dei suoi miracoli più clamorosi, camminare sulle acque.



Perché questa terra, al di là delle bellezze architettoniche e delle follie artistiche quali Petra, ti offre due millenni di storia, cultura e soprattutto religione.



Qui, sono sorte le più diffuse religioni monoteistiche nel mondo.



L ebraismo, il cristianesimo e l islam.



Tre religioni tra loro unite dallo stesso credo e dallo stesso Dio, differenti soltanto per la messa in pratica del loro credo ma che rispettano gli stessi principi e gli stessi valori.



Tre religioni usate nel tempo, e purtroppo ancora oggi, come pretesto per combattere, per avere la predominanza sull altro, per avere il potere.



Gerasa è un meraviglioso affresco della potenza di Roma.



Teatri, vie colonnate, templi dedicati a Zeus ed Artemide, mosaici di epoca bizantina, l arco di Traiano, il circo, un foro dalla caratteristica forma ovale e tanto altro.



A rendere il tutto più affascinante è il rigoglio di prati e fiori che abbracciano amorevolmente le rovine del glorioso passato dando all intero paesaggio un non so che di poetico e pittoresco.



E pensare che se non fosse stato per i circassi, popolazione dal caucaso chiamata per coltivarne le terre, la città avrebbe potuto svelare tante altre bellezze.



Amman, denominata la città bianca per il materiale utilizzato nella costruzione delle case e delle altre strutture, è invece una città moderna e decisamente liberale rispetto alle forme più integralistiche della religione mussulmana.



Non è difficile imbattersi in donne vestite all occidentale o ottenere una bella birra alcolica nei locali della città. C è addirittura il Mc Donald!



È ormai una vera e propria metropoli araba con miriadi di macchine che la percorrono, quasi ferendola sembra, in tutte le vie e viuzze, con locali ad ogni angolo e poi mercati e gente disponibile che chiacchiera per la città o tenta di venderti qualunque cosa abbia tra le mani.



Andando a sud ti imbatti poi in Madaba, famosa per il suo incredibile mosaico che dà una rappresentazione della situazione politica ed etnica dell epoca in cui fu creato. In pratica una vera e propria mappa della zona.



E Petra, la vera grande attrazione del paese.



Una città fondata dai Nabatei, popolazione araba di cui poi se ne sono perse le tracce.



Una città che, a mio parere, rappresenta una vera e propria follia dell ingegno umano.



Templi e tombe e acquedotti e cisterne interamente scavati nella roccia.



Una roccia dai più variegati colori, rosso, giallo, bianco, blu, viola.



E poi ancora percorsi e scalinate su per le montagne dai cui picchi puoi, ancora sudato e scosso dalla fatica, sederti, accenderti una sigaretta e gustarti appieno lo spettacolo dove i turisti sembrano formiche ed il silenzio è interrotto soltanto dai megafoni dei minareti che ricordano ai fedeli che è ora di pregare.



E pensare che questa città, interamente scavata nella roccia, era solo ed unicamente il luogo di culto e di commercio di un popolo che, come consuetudine araba, viveva nelle tende.



Vedere questo sito ti affascina ad ogni angolo, ad ogni curva, ad ogni anfratto e ti fa capire che l uomo moderno in fondo non ha inventato nulla, che gli antichi popoli erano già in grado di avere una tecnologia ed una capacità organizzativa che nulla avrebbe da invidiare a quella attuale.



E ti fa pensare, per l ennesima volta, come l uomo sia però nel concreto un essere pauroso, costretto sempre a dover escogitare qualche rimedio per difendersi dal resto del mondo.



Fateci caso ma l intera storia dell umanità è stata sempre e profondamente segnata dalla paura, paura degli elementi, paura degli altri esseri viventi, paura soprattutto dei suoi simili.



Comunque credetemi quando vi dico che da sola vale il prezzo del biglietto. Credo sia uno di quei posti in cui, per chi ama viaggiare come me, non si può non andare.



E poi il Wadi Rum, il deserto più famoso del paese, un deserto percorso per secoli dai commercianti di spezie, un deserto roccioso dove le montagne accerchiano tonnellate di sabbia gialla e rossa e nascondono graffiti inneggianti ai miracoli della vita.



Ed infine si arriva sulle rive del Mar Morto, a detta di studiosi ed archeologi il luogo in cui avvenne il diluvio universale.



È ormai un posto di villeggiatura dove ci si può rilassare con una temperatura mite e soprattutto con una rilassante nuotata nelle acque più salate della terra. È una sensazione davvero strana non riuscire, neanche a volerlo, affondare. Ma mi raccomando attenti agli occhi che brucia!



Questo è il mio succinto racconto della Giordania, ovviamente ho omesso tante altre visite quali i castelli arabi, le fortezze crociate, la piccola Petra o Betania.



È un paese affascinante per tanti aspetti che ti porta indietro di secoli e secoli fino agli albori della civiltà, quella civiltà che si va perdendo giorno dopo giorno.



 



Marco Gubitosi


GIORNO 1: JO BURG – HAZYVIEW
L'incipit è essenziale, in un romanzo: definisce il tono del racconto, suggerisce i possibili esiti linguistici della narrazione, stabilisce in modo spesso irrevocabile la relazione dell'autore con il lettore. Così, se le poche righe tra Jo'burg e Hazyview fossero un incipit, sarebbero un incedere sciatto e monotono tra sterpaglie, abbozzi di periferia, traffico e altri inciampi stradali, compresa una foratura su una strada che sarebbe ancora generoso definire dissestata. Insomma, una roba da posare disgustati il viaggio sul comodino e andarsi a fare una bella passeggiata. E però, se una cosa ho imparato nei miei anni girovaghi, è che l'incipit di un viaggio è raramente significativo; al contrario, molti dei miei viaggi più belli sono iniziati in modo deludente. Così, una volta giunti a Hazyview, faccio esercizio di pazienza e intanto mi godo un'ottima cena. E domani è un altro giorno (dove l'avrò sentita, questa?)… La foto del giorno Primo piano di Mossie, tecnico della telecom locale. Quando foriamo, si ferma a darci una mano, si prodiga a cambiare la ruota, coopta in nostro soccorso una pattuglia di polizia e telefona all'agenzia di noleggio per rimproverarli della mancata assistenza. Poi ci scorta al paese più vicino per farci riparare lo pneumatico e per finire ci telefona in albergo per chiedere se siamo arrivati sani e salvi. La faccia, onestamente, non è bellissima; la persona, sì.
GIORNO 2: HAZYVIEW
Con tutta calma si parte per un escursione al Blyde River Canyon. Abbiamo scelto di sostare un giorno in più in questa zona per avere un impatto meno frenetico con il paese, un acclimatamento graduale che si rivelerà particolarmente benefico nei giorni a venire. A volte chi viaggia è vittima dell ansia da prestazione, quell ingordigia di vedere tutto e subito che rischia di avvelenarti le giornate, di non farti godere appieno momenti unici. Così, mentre il pomeriggio va a spegnersi senza clamori, noi prendiamo fiato (e un gin tonic) nel parco dell'albergo sotto lo sguardo perplesso di una coppia di oche egiziane. E va benissimo così. La foto del giorno Il panorama da Three Rondavels. Un classico. Sì, lo so che ne sono state scattate a migliaia di foto così, ma è quello che mi è rimasto negli occhi oggi. A volte, la foto del giorno è banale. GIORNO 3: HAZYVIEW – SABI SAND (CHITWA CHITWA LODGE)
Un paio d ore di macchina, deviazioni involontarie comprese, e siamo a Chitwa Chitwa. Ora, nella vita ognuno ha i suoi sogni, alcuni ovvi, altri più bizzarri, tutti egualmente rispettabili. Il mio è quello di trascorrere le giornate al sole, in una bella casa affacciata su uno specchio d'acqua, beandomi dell'abbeverata di elefanti e gazzelle, in compagnia della persona che amo. Così qualcuno capirà la mia emozione nello scrivere queste poche righe. E sì, un drink lo gradisco, se proprio me lo chiedete. La foto del giorno I sogni non è una roba che ci si fanno le foto.
GIORNO 4: SABI SAND (CHITWA CHITWA LODGE)
Non so se per un'ancestrale paura di volare, o per un profondo senso di frustrazione nei confronti di chi ha saputo sconfiggere le leggi della gravità, ma i nostri compagni di safari non sembrano affatto interessati a tutto ciò che vola: quattro zampe, buono, due ali, cattivo. Eppure, alcuni degli incontri più belli nei miei viaggi li ho fatti col naso all'insù, osservando a torcicollo il volteggio di un grifone, infilando lo sguardo tra i rami alla ricerca di un'ara, guardando divertito l'incedere sgraziato di un bucero. Emozioni che ho cercato di trasmettere ai nostri compagni di viaggio, richiamando inutilmente la loro attenzione su un magnifico esemplare di ghiandaia pettolilla fieramente immobile a due metri da noi. Rassegnato, li lascio andare per la loro strada. Augurandomi intimamente che un giorno non lontano anche loro possano provare l'ebbrezza del volo. La foto del giorno Diceva Vinicius de Moraes che la vita è l'arte dell'incontro, e chi ha la buona sorte di viaggiare sa quanto sia meravigliosamente vera questa frase. Il nostro incontro di stasera è un esuberante operatore finanziario indiano che ha inopinatamente deciso di comprimere tutto il Sudafrica in dieci giorni dieci di studiata frenesia: cavalcata sugli struzzi, assaggio di vini, bungee jumping dal Bloukrans Bridge, immersione con gli squali e safari nel Kruger, il tutto con famiglia al seguito. Anche in versione zippata, il racconto dura tutta la cena, caffè e liquori compresi – troppo anche per una persona paziente quale io non sono. Così la foto del giorno, perfidamente, è la faccia di sua moglie all'ultimo giorno di vacanza.  GIORNO 5: SABI SAND (CHITWA CHITWA LODGE)
Durante la notte si è probabilmente rovesciata l arca di Noè, perché oggi teniamo a malapena il conto degli avvistamenti: licaoni, leopardi, rinoceronti, alcuni splendidi gruccioni, iene, leoni e leonesse (rigorosamente separati, la promiscuità non è roba da felini perbene), nyala… e poi ancora antilopi varie, un gruppo di elefanti all abbeverata, nettarinie… E poi, appena prima di rientrare… La foto del giorno ...sulle tracce di un leopardo che aveva nascosto nei pressi la sua preda, Moises, la nostra guida, scende dalla jeep per strappare un ramoscello da un arbusto. Lo aveva già fatto in mattinata, per segnalare la posizione dei licaoni, però stavolta il ramoscello gli sfugge di mano e lui fa appena in tempo a riprenderlo per la coda. Poi si volta verso di noi con un sorriso smagliante e ci mostra un magnifico camaleonte verde, dello stesso identico colore delle foglie. È il mio primo camaleonte, ed è un'emozione assolutamente indimenticabile.  GIORNO 6: SABI SAND – MBABANE (SWAZILAND)
Tappa di trasferimento. Lasciamo la riserva con gli occhi ancora pieni di meraviglia per sobbarcarci la lunga strada per lo Swaziland. Panorami a tratti magnifici, a volte monotoni. Con un po  di pazienza passiamo la dogana e arriviamo a Mbabane nel tardo pomeriggio. Quasi quasi sono contento di trovare un po  di traffico… La foto del giorno Potete guardarla fino a diventare strabici, ‘sta foto, ma non c è proprio niente da vedere. Nel senso che dovevano starci dentro i cartelli stradali che ci avrebbero guidato fin qui, ma purtroppo non ce ne sono. Si va a spanne, o se preferite a culo, con sporadiche e poco attendibili indicazioni dei locali. Quindi, oggi la foto è vuota.  GIORNO 7: MBABANE (SWAZILAND) – KOSI FOREST LODGE
Alle sette del mattino la sala da pranzo dell albergo è già affollata. Siamo tutti di passaggio su questa terra, e non solo metaforicamente. Bella passeggiata alla Mlilwane N.R., sosta obbligata alla fabbrica di candele (e credetemi, ne vale davvero la pena), poi si parte per il Kwa Zulu Natal. Ci orientiamo col sole, in mancanza di segnaletica, e riusciamo perfino a non sbagliare strada. Lo Swaziland non ci ha fatto grande impressione, ma almeno ora ha un volto per noi che ne conoscevamo a malapena il nome. Il Kosi Forest Lodge è semplicemente magico, uno screzio di luce su una collinetta con vista lago, al riparo di un bosco di acacie che al tramonto si anima dei versi di un gruppo di buceri. E la buonanotte ce la dà un galagone appollaiato sull albero maestro della sala da pranzo all aperto… La foto del giorno Un giornalista chiese alla teologa tedesca Dorothee Salle come spiegherebbe a un bambino che cosa è la felicità.  Non glielo spiegherei  rispose,  gli darei un pallone per farlo giocare.  Lo racconta Eduardo Galeano, e mi torna in mente guardando lungo la strada un gruppetto di ragazzi, scalzi e spaiati, cercare di spingere un pallone verso due bastoni piantati in terra alla bell e meglio, come noi si metteva due maglie per terra a fare porta. La felicità, appunto, anche se nessuno ce lo aveva spiegato.  GIORNO 8: KOSI FOREST LODGE
Oggi si va in canoa. Sapete andare in canoa? Certo, rispondo io, che ci sarò salito tre volte ma non perdo mai l occasione per parlare a sproposito. E salgo davanti. Sbagliato. Molto sbagliato. Perché in canoa è chi sta dietro a dirigere le operazioni, e nel mio caso chi sta dietro è molto, molto inesperto. Così, per tutto il tempo, mentre io remo come un forsennato verso riva, con mio grande stupore la canoa deriva placidamente al largo, spinta non dalla corrente come io ingenuamente pensavo, ma dalla sventatezza della mia compagna di pagaiate. Se avete presente Stanlio e Ollio che spingono il pianoforte in due direzioni opposte, capirete bene la situazione. Dopo mezz ora di carambole, insulti e incomprensioni finalmente troviamo l assetto e ci godiamo una gita meravigliosa lungo le rive del lago, con tanto di avvistamento di un avvoltoio delle palme, unico rapace al mondo (quasi esclusivamente) vegetariano. La foto del giorno A pochi metri da noi, un martin pescatore malachite si posa con leggerezza su un ramo sporgente, aspettando il momento giusto per librarsi in aria e tuffarsi in caccia. In anni di viaggi ho visto molte volte questo spettacolo, che però non cessa mai di affascinarmi.  GIORNO 9: KOSI FOREST LODGE
Ci spostiamo in jeep ai confini con il Mozambico per osservare da vicino un ecosistema unico: quattro laghi comunicanti attraverso un sistema di canali che si estendono per 60 km dall'entroterra fino all Oceano Indiano. Il più vicino al mare beneficia di un flusso costante di acqua salata che, incredibilmente, lo rende simile ad un piccolo mar Rosso. E allora via, pinne maschera e boccaglio, a goderci uno spettacolo straordinario: pesci tropicali di ogni tipo e coralli in mezzo metro d'acqua, mentre l'oceano Indiano ruggisce alle nostre spalle. La foto del giorno Per la nostra ultima cena al lodge ci viene offerto un tavolo accanto al fuoco, nel boma, da soli sotto un acacia di lungo corso. Mangiamo in silenzio, guardando spesso il cielo. Tutto nero, il cielo, impreziosito da milioni di stelle immote. Dio, se ci mancheranno le notti africane…  GIORNO 10: KOSI FOREST LODGE - DURBAN
"Dove avete lasciato la macchina? Avete tolto le chiavi? E dove pensate di andare? A piedi? Nooo… No, meglio di no. Il lungomare? Beh, sì, il lungomare sì ma fate molta attenzione..." Il portiere del nostro hotel a Durban, un indiano spiccicato a Hrundi Bakshi (il meraviglioso Peter Sellers di Hollywood Party) fa del suo meglio per terrorizzarci, e ci riesce piuttosto bene. Durban non è propriamente una città tranquilla, ma noi abbiamo un aereo domani all'alba e la sosta è d'obbligo. Certo, l'inizio non è incoraggiante ma decidiamo ugualmente di arrischiare due passi. Scendendo dalla camera lo incrociamo (è dovunque, impossibile mancarlo); lo saluto scioglilinguando 'se sono due biglie, se sono tre triglie, se sono tante conchiglie'e indicando interrogativo la direzione da prendere. Lui fa sì con la testa, sorride come fosse antani e ci augura una buona passeggiata. Il tempo è splendido, il lungomare è affollatissimo di famiglie e ragazzi che nuotano e giocano a pallone, e nessuno ci importuna. Il giorno dopo leggeremo sul giornale che aveva ragione lui. La foto del giorno Il ragazzo che si occupa della nostra macchina in hotel, François, mastica giusto due o tre parole di inglese. Viene dal Ruanda, e mi racconta in francese di come sia dovuto fuggire dal suo paese. Qui ci sono molti induisti e musulmani, ma lui è cristiano, mi dice toccando la croce che porta al collo. Anche lei è cristiano, monsieur? Io, ateo praticante, gli rispondo che sì François, anch'io sono cristiano. E la foto del giorno è il sorriso che si allarga sul suo bel viso.  GIORNO 11: DURBAN – JO BURG - UPINGTON
Tappa a Upington, per riprendere fiato. Ne approfittiamo per fare qualche commissione, ricaricare il telefono, comprare un po'di vettovaglie (e tanta, tanta meravigliosa frutta secca) e per una sosta in lavanderia. Upington è una città di nulla, pigramente ciondolata dai suoi abitanti finché non tramonta il sole: allora le strade si svuotano e tutto quello che puoi fare è aspettare il giorno dopo. E il giorno dopo, per noi, è già deserto. La foto del giorno Pick-up, strada dritta nel deserto, prime luci dell'alba, un CD di Patrick Watson a farci compagnia. Magnifico, se non fosse per la temerarietà di numerosi stormi di rondini che traversano sciaguratamente la carreggiata volando ad altezza d'uomo. Patrizia ne fa secche tre finché, disperata, inizia a pestare sul clacson ogni volta che coglie un accenno di volo. E così quello che era iniziato come un fantastico viaggio on the road si trasforma in un remake surreale de Il sorpasso, con una coppia di mentecatti che strombazza oscenamente sfrecciando a 130 all'ora nel deserto…  GIORNO 12: UPINGTON – KGALAGADI N.P. (KALAHARI TENTED CAMP)
Finalmente il Kgalagadi. Abbiamo fatto i salti mortali per arrivare fin qua, ma è stata fatica ben spesa. Il parco è una tavolozza di colori pastello, ocra, salvia, azzurro, paglia, ed è diverso da qualsiasi altro parco africano. Anche la fauna è molto diversa: moltissimi orici e struzzi, sciacalli e otocioni, niente elefanti, bufali e rinoceronti. Rapaci, tanti e facilmente avvistabili. E poi parecchi gattoni: raramente avevamo visto tre ghepardi lo stesso giorno. La foto del giorno Foto di gruppo con orici, animale meraviglioso se ce n è uno.  GIORNO 13: KGALAGADI N.P. (KALAHARI TENTED CAMP)
Come ogni appassionato di safari, conosco e mi ripeto sempre una verità fondamentale: ogni avvistamento è un regalo, un avvenimento unico e irripetibile. E però, al trecentocinquantasettesimo gnu, il regalo comincia pericolosamente ad assomigliare alla cravatta che Nonna Evelina mette sotto l'albero ogni Natale che Domineiddio manda in terra. Oggi però ho ricevuto un regalo speciale: una femmina di caracal che, dopo aver attraversato a tradimento la strada, ci ha guardato a lungo negli occhi prima di raggiungere il suo compagno su una collina e scomparire nel bush. Il resto della giornata è trascorso relativamente tranquillo. Tanto, io nemmeno le porto, le cravatte. La foto del giorno Un cammino di giraffe contro il cielo livido dell alba. Per quanto relativamente comuni in altri parchi, qui le giraffe sono un avvistamento poco frequente. Un regalo, appunto: e così le ho volute immortalare nella loro buffa marcia verso l acqua.  GIORNO 14: KGALAGADI N.P. (TWEE RIVIEREN)
Io lo chiamo effetto domino, ma non so se esiste un nome per una roba del genere. Sta di fatto che nel Kgalagadi vige la legge del self-drive: niente safari di gruppo, walkie-talkie, comunicazioni radio tra guide e tracker, tutto è affidato alla perizia e all'esperienza dei visitatori i quali, nel timore di mancare l'avvistamento della vita, finiscono regolarmente per fare affidamento sull'acume visivo altrui. Niente di male, naturalmente, ma con qualche bizzarro effetto collaterale: se la macchina davanti alla tua si ferma ogni dieci metri entusiasmandosi per un tronco a forma di leone o per una roccia le cui fattezze ricordano un elefante, l'esperienza può risultare snervante. Così una jeep di francesi appassionati di birdwatching, in cerca dell'angolazione migliore per fotografare un astore cantante, finisce per provocare uno spettacolare ingorgo nei pressi di una pozza d'acqua e un disordinato passaparola per cui una decina di macchine (compresa la nostra) scrutano disperatamente un cespuglio dietro il quale si nasconderebbe un leopardo. La foto del giorno A poche centinaia di metri dal campo, stufo di mangiare la polvere della macchina che mi precede, dò di acceleratore e supero di slancio i limiti di velocità e una pattuglia di ranger del Botswana, comprensibilmente infastiditi dal mio gesto. La reprimenda che segue, tanto composta nei toni quanto (giustamente) dura nei contenuti, mi risuonerà nelle orecchie fino al giorno della partenza.  GIORNO 15: KGALAGADI N.P. (KALAHARI TENTED CAMP) – KAKAMAS
La cosa più abbondante sulla terra è il paesaggio. Questo fulminante incipit di José Saramago si palesa in tutta la sua evidenza mentre guidiamo verso Kakamas di ritorno dal Kgalagadi, dopo un ultimo game drive che ci ha regalato un emozionante incontro ravvicinato con una splendida femmina di leopardo. A Kakamas, una bellissima sorpresa: saremo ospiti di una tenuta agricola. La nostra stanza affaccia dritta sui vigneti, ora spogli, ettari di terreno da camminare con le mani dietro la schiena fino ad incocciare le montagne. C è un Africa bianca, quassù, con cui prima o poi dovremo fare i conti. La foto del giorno Il leopardo ruba l occhio del fotografo, che sente fortissimo l impulso di scendere dalla macchina e grattargli le orecchie ma, buon per lui, se ne guarda bene.  GIORNO 16: KAKAMAS
Giornata di relax, la passiamo in giro per l Augrabies Falls N.P. Pur non particolarmente ricco di fauna, il parco è magnifico nel suo impercettibile quanto incessante mutare di forme e colori; il filo dell'orizzonte è punteggiato da kokerbom in fiore, acacie e bizzarre variazioni sullo spinoso tema del cactus. È in posti come questo che più maledico la mia ignoranza botanica (e non solo), e benedico la mia buona sorte di viaggiatore affascinato dalla natura. La foto del giorno Di solito tendo ad ignorare il frigo in camera, un po'per desuetudine e un po'perché morigerato (tirchio?) di natura. Su questo però mi cade l'occhio, c'è scritto Honesty Bar e contiene ogni ben di Dio: vino, birra, sidro e analcolici in quantità, noccioline, patatine, frutta secca... Se ci credete, funziona così: tu prendi quello che ti pare, nessuno viene a controllare, e poi se credi paghi. Tutto qui. Oh, mi sono così commosso da pagare una birra in più… e ho pure l'impressione di non essere stato l'unico.  GIORNO 17: KAKAMAS - CALVINIA
Se è vero che bisogna sempre sforzarsi di vedere il lato positivo delle cose, allora posso consolarmi pensando che a Calvinia resteremo solo un pomeriggio. È una giornata fredda e ventosa, e per la prima volta da quando siamo qui il sole non riesce a scaldarci. Vaghiamo per la città spiluccando un negozio qua, un museo là, ma tutto sommato non abbiamo neanche troppa voglia di andare in giro. Finiamo una giornata senza pretese davanti ad un bobotie senza infamia e senza lode. Domattina sveglia presto, e non cercate i nostri commenti nel guest book dell'albergo. La foto del giorno Supermercato con forno. Quella roba dentro la teglia, non sarà mica pizza? Sì? Allora per favore ce ne incarti due pezzi belli grandi!!! Nei miei primi viaggi pasta e pizza li vedevo come un inammissibile tradimento, un venire meno ai princìpi del vero viaggiatore. Col passare del tempo sono diventato più indulgente, e ora una pizza la mangio volentieri anche all'estero, soprattutto nei viaggi più lunghi. Detto questo, siete proprio sicuri di voler sapere com'era quella pizza del supermercato di Calvinia? Quella roba moscia e spugnosa con sopra sedano carote cipolla rapa barbabietola zucchine patate aceto pomodoro cavolo e nonsocosaltro? Ecco, bravi, lasciate perdere, che noi ancora rimpiangiamo di non aver fatto altrettanto…  GIORNO 18: CALVINIA - CLANWILLIAM
Quello che ti frega, di questo paese, è che quando non ti aspetti nulla all improvviso ti trovi nel Cedarberg. E quella che doveva essere una semplice tappa di avvicinamento alla costa si trasforma così in una delle giornate più intense e sorprendenti del nostro viaggio: una strada (aperta solo di giorno) tra le montagne, fioriture abbaglianti, le pitture rupestri dei San lungo il fiume. Non c è un turista che sia uno, quassù. Probabilmente sono tutti all unico ristorante della città, visto che non c è un tavolo neanche a morire. Vabbè, da domani si prenota. La foto del giorno Mattino presto, la nebbia si dirada lentamente, un aquila pescatrice appollaiata su un ramo attende pazientemente che il fiume si disveli. Una foto che è quasi un haiku.  GIORNO 19: CLANWILLIAM – DE HOOP NATURE RESERVE
E poi arriva il giorno che le parole non bastano più, davanti a tanta meraviglia. Che enumerare le balene ti sembra un esercizio puerile, e dire tutto d un fiato bianco azzurro cielo mare sabbia vento evoca a malapena una conta di nascondino, di quelle che ci si litiga da bambini. Allora posi la penna, ti siedi con un gesto gentile e lasci che una o due gocce di quell oceano ti inumidiscano le guance. Meglio di così, non sai dirlo. La foto del giorno È una foto astratta, si intitola Piangere di felicità guardando l oceano, e ognuno può comporla a sua immagine e somiglianza.  GIORNO 20: DE HOOP NATURE RESERVE
C'è il sole (c'è stato per tutto il viaggio, siamo stati fortunati) e vogliamo restare vicino all'acqua. Ci incamminiamo per uno dei sentieri che costeggiano l'oceano, in un susseguirsi aritmico di promontori e calette, accompagnati dal volo delle beccacce di mare e dagli sbuffi delle balene. La luce è bellissima, spesso ci fermiamo incantati dal paesaggio, senza parlare. Felici. La foto del giorno A fine giornata saliamo su una duna per dire addio alle balene, c'è un vento freddo che ti strizza gli occhi e ti rinserra nella giacca a vento, ma questo è uno scatto cui non rinuncerei per nulla al mondo. Clic.  GIORNO 21: DE HOOP NATURE RESERVE – CAPE TOWN
E così questa è Cape Town. Da qui è cominciato tutto: Compagnia delle Indie, Kaapstadt, tratta degli schiavi, oro, diamanti, guerre, segregazione razziale, apartheid. Di quel tutto non è rimasto niente, e quel niente ora è una città moderna, vitale, orgogliosa, bella come solo sanno essere le città in comunione con il loro mare, fascinosa di volti meticci e inafferrabile nella sua vera essenza, benedetta da una luce limpida che la rende ancora più accogliente. Se poi riuscissimo anche a parcheggiare la macchina sarebbe perfetto… La foto del giorno Lo skyline di Cape Town di notte, dall alto, con un bicchiere di vino in mano. Un regalo prezioso di due persone care conosciute a Kosi Bay, il modo più bello per salutare questa splendida città.  GIORNO 22: CAPE TOWN – CAPE OF GOOD HOPE
Via che si va verso la fine del mondo, al Capo di Buona Speranza. Fa sempre uno strano effetto posare lo sguardo su luoghi conosciuti sui libri di geografia e fantasticati nei tuoi anni da cucciolo, e il Capo non fa eccezione: anni a lavorare di immaginazione, e poi la realtà ti prende in controtempo. Chiedere a queste poche righe di essere sutura tra il fantasticare e l'esserci, mi pare pretesa eccessiva. E così decido di fare la cosa più onesta, l'unica veramente possibile: giro le spalle all'oceano e mi incammino lentamente alla fine di questa frase. La foto del giorno Quel braccio che spunta dall'acqua si chiama Thomas, e tutte le mattine di buon'ora scende in spiaggia, qui a Boulders Beach, per farsi la sua nuotata. Ormai i pinguini lo conoscono e non ne sono infastiditi, anzi: qualche minuto prima lo hanno scortato in mare a mò di guardie svizzere, e un paio si sono pure tuffati con lui. Gli altri sono rimasti all'asciutto, a dondolarsi beati al sole, e io ne ho approfittato per scattare questa foto.  GIORNO 23: CAPE TOWN – JO BURG – FRANCOFORTE - ROMA
Packed & ready. A mezzogiorno, via all aeroporto, pronti a sorbirci un interminabile viaggio di ritorno. È stata una vacanza entusiasmante, molto al di sopra delle nostre aspettative. Il Sudafrica è un paese meraviglioso, un incanto per gli occhi e per il cuore, che sfugge a qualsiasi tentativo di immaginarlo e classificarlo. Una terra che ci ha commosso, noi che avevamo paura di restare delusi. La foto del giorno È una foto di gruppo: ci sono persone di ogni etnia, sesso e religione che si affollano nel breve spazio di un immagine per salutare. Sono tutti quelli che ci hanno accompagnato in questo viaggio, che hanno condiviso con noi una parola, una cena, uno sguardo, un'emozione, un avvistamento. Sono davvero troppi per nominarli uno ad uno, e molti li abbiamo a malapena sfiorati. Ma a tutti, indistintamente, va il nostro pensiero e il nostro affettuoso ringraziamento per avere arricchito la nostra esperienza.  Antonello Bacci
Durata: 23 giorni (6-30 luglio 2009)
Itinerario: Jo'burg – Hazyview (Blyde River Canyon) – Sabi Sands (riserva privata di Chitwa Chitwa, Kruger N.P.) – Swaziland – Kosi Bay – Durban – Upington – Kgalagadi N.P. – Augrabies Falls N.P. – Calvinia – Clanwilliam – De Hoop N.R. – Cape Town
Un viaggio che resterà al TOP dei miei ricordi! Per la bellezza indescrivibile dei paesaggi, la verità umana del popolo conosciuto, la ricchezza di stimoli culturali e soprattutto la organizzazione inappuntabile di ogni particolare. Prima della partenza mille dubbi: la sicurezza dei luoghi che avremmo visitato, il timore di imprevisti ingestibili, la consapevolezza della difficoltà a recepire i contenuti di una lingua straniera.  Tutto questo si è rivelato una bolla di sapone; mai un momento di incertezza o difficoltà, dalla accoglienza negli hotel( magnifici 5 stelle ) alla gentilezza ed estrema disponibilità delle guide ( tutte giovani donne parlanti italiano ) alla facilità dei trasporti, dalla terraferma al mare al cielo. 3 giorni a Quito sono passati in un attimo; la città è immensa vista dalle alture circostanti, il vulcano Pichincha che la domina è per gli abitanti come un Padre; ma quello che ci ha attratto di più è stato il Centro Coloniale ( città vecchia ) , patrimonio culturale della umanità , che ben merita questo riconoscimento. ù Tanti i monumenti da vedere, ma soprattutto è stato un arricchimento osservare le etnie locali nella loro vita quotidiana tra piccoli negozi, vie affollate, piccoli parchi verdi. E cosa dire dello stupore al momento della visita al Museo Intin-an proprio sulla linea dell equatore?! Abbiamo avuto modo di osservare direttamente quei fenomeni fisici di cui spesso avevamo parlato ( e dubitato ) con gli amici. I colori e la vivacità del mercato di Otavalo, a nord di Quito, ci sono rimasti negli occhi e nel cuore; abbiamo cercato di portarli con noi nelle tantissime foto fatte, ma decisamente più entusiasmante viverlo dentro. I 5 giorni di crociera sulla M/N St.Cruz non potevano essere più ricchi di meraviglie. La motonave è accogliente, pulitissima, il servizio impeccabile, lo staff cortese e molto professionale. Ogni momento del giorno è stato programmato per farci vivere a pieno la natura incontaminata delle Isole Galapagos, dalla osservazione degli animali nella realtà viva del loro mondo ( balli rituali di Sule, livree di corteggiamento di Fregate, canti melodiosi e richiami di amore di uccelli endemici ) alle otarie , quasi amiche che ci accoglievano tra loro, vivendo a pieno la loro giornata senza curarsi delle persone che stavano ad ammirarle, alle tartarughe che con incedere lento e maestoso incutevano un senso di rispetto tale da fare ala al loro passaggio alle iguane di terra e di mare, non esseri mostruosi, ma innocui abitanti delle isole che si lasciavano avvicinare e osservare Mentre stese al caldo sole equatoriale si ricaricavano di calore e di energia.  E per molti dei croceristi Elisabetta compresa, l esperienza di nuotare con otarie,pesci dai mille colori, tartarughe, razze volanti! E poi ancora la visita al Centro Scientifico Charles Darwin, i due passi sul lungomare di St.Cruz, piccola capitale della omonima isola, ad ammirare i pescatori che sulla riva pulivano tonni pinna gialla e cernie giganti, appena pescati. mentre pellicani e otarie facevano a gara per accaparrarsi i lembi di pelle gettati a terra. E questo è solo un accenno a quanto abbiamo vissuto durante questo viaggio indimenticabile. Grazie di cuore a Darwin viaggi, a Metropolitan Tourism (referente ecuadoriano ) e a Sandra che ha organizzato tutto, veramente TUTTO, in modo fantastico!
Maria Gabriella e Elisabetta - Marzo 2013
Se qualcuno mi chiedesse di definire con poche parole il nostro viaggio in Ecuador e Galapagos la prima cosa che direi è che è un viaggio molto impegnativo dal punto di vista economico, ma qualunque cifra si spenda, ne vale la pena: sì, ne vale proprio la pena! E pensando al viaggio che abbiamo fatto non c è stato nulla di forzato, sbagliato o incompiuto: un viaggio perfetto! Esattamente tutto quello che volevamo fare l abbiamo fatto. E tornare soddisfatti ed appagati da un viaggio è senz altro la cosa più gratificante...Comunque il bello del viaggio è senz altro suddividere in due parti l intero periodo: una parte del viaggio va senz altro dedicata alla  terra ferma ; il resto, almeno una settimana, alla visita delle Galapagos. Se si ha un lungo periodo a disposizione il consiglio è di godersi ogni attimo e di prendersi tutto il tempo per attraversare il paese, facendo qualche puntatina anche nel... vicinato (Perù, Bolivia…..) e volendo viversi un viaggio più avventuroso (di sicuro un po  più scomodo….) viaggiando con i mezzi pubblici; però se si ha un periodo limitato (come nel nostro caso, due settimane) tutto ciò non è possibile: con i pullman locali i tempi si raddoppiano, si triplicano... e fare una gita di poche centinaia di chilometri significa una dura giornata su un vecchio veicolo affollatissimo e una scorpacciata di polvere assicurata... Un consiglio che diamo volentieri a chi si volesse avventurare da solo per le strade ecuadoriane è che l affitto delle macchine è carissimo (molto al di sopra degli standard europei o statunitensi), le strade sono piuttosto malmesse (la stessa celeberrima Panamericana è una stradina la cui buca più piccola può contenere tranquillamente una vecchia Fiat 500) e, particolare non da trascurare, le indicazioni sono inesistenti (solo chi conosce le strade può trovare il bivio giusto... e quando fa buio neanche i locali sono in grado di trovare la strada di casa...). Però organizzando dall Italia le escursioni (sono più o meno mète obbligate) si può avere tutto ad un prezzo più che accettabile e alcuni tour operator locali (noi ci siamo affidati alla Metropolitan tour) sono molto ben organizzati e portano i turisti dovunque (nota: tutto quello che abbiamo fatto in Ecuador, pagando sul posto, ci è costato il doppio di quello che avremmo pagato dall Italia... tenetelo a mente!). Di sicuro il paesaggio andino è qualcosa di particolarissimo, ma nulla a che vedere con le nostre Alpi: le vette ecuadoriane si stagliano tutte sopra i 4000 metri, e solo sopra i 5000 si possono vedere le nevi perenni... non ci dimentichiamo che l Ecuador si trova all Equatore e Quito, la capitale, che si trova a 2800 metri sul livello del mare... non ha mai visto la neve!!!! Inoltre i contadini lavorano la terra fino ai 4000 metri, ovvero fin dove è loro consentito dalle condizioni climatiche, e riescono a coltivare il terreno in posizione eretta! Cioè, data la pendenza, i  campesinos  piantano i semi, tolgono le erbacce... senza mai doversi inchinare ed avendo le piantine all'altezza del petto... insomma, lavorano in salita! E il colorito delle loro guance ricorda il colore rosso scuro, quasi nero, della terra, grassa e ricca, in cui si coltiva di tutto, moltissime verdure colorate che si vendono nei vari mercatini locali...
E li vedi lì, con i loro cappellini buffi, sotto il sole cocente, con il freddo pungente, con il vento a volte fastidioso, che lavorano con dei vestiti dai colori festosi, macchie azzurre, turchesi, gialle e rosse che punteggiano i campi coltivati, ordinati e separati da linee immaginarie... La gente vive di quello che produce e nelle campagne non manca certo di che mangiare... non è così in città, dove incontri bambini cenciosi che ti offrono la loro bravura di  shoe-shiner  (ma noi turisti portiamo quasi tutti scarpe di tela o di tessuti molto tecnici...), ti sorridono, gli offri un dollaro, e poi li vedi tentare la fortuna con qualche altro turista... e poi dormono sotto alle panchine, sì sotto, perché così hanno un riparo sulla testa... le contraddizioni del benessere... E dopo un bel giretto nell interno (rovine varie, città, montagne e taaaaaaanti vulcani) concedetevi un vero lusso: una bella crociera alle Galapagos!Noi siamo stati fortunatissimi: siamo stati ospiti della motonave Santa Cruz che appartiene alla Metropolitan tour e abbiamo scelto la crociera di cinque giorni alle Galapagos. E abbiamo fatto la crociera in fondo, alla fine del nostro viaggio, ed è stata una soluzione vincente. Abbiamo ricevuto un servizio eccellente, un organizzazione ineccepibile, una serie infinita di attività che hanno scandito le nostre giornate senza mai lasciare il tempo alla noia... è stato tutto così bello, così intenso, così perfetto... che per realizzare quello che avevamo vissuto lo abbiamo dovuto metabolizzare e solo al nostro rientro in Italia abbiamo ripensato e goduto della splendida esperienza vissuta: una delle ultime meraviglie naturali ancora intatta ed irripetibile! Senza elencare le escursioni che abbiamo fatto, tutte incantevoli, in un paesaggio incontaminato, tra fiumi di lava, vegetazione  pioniera , lagune, mangrovie, camminando tra animali preistorici, iguane, otarie, leoni marini, sule dai piedi azzurri, pellicani e pinguini... vorrei solo raccontare... il bagno più bello della nostra vita. Innanzitutto abbiamo fatto questo viaggio nel mese di agosto, che dal punto di vista climatico forse non è il migliore: il cielo è spesso plumbeo e l acqua è fredda, e ciò non giova nè ai sub nè ai fotografi... però con l acqua a 19° (che vuol dire veramente fredda!) abbiamo fatto il bagno più bello della nostra vita! E senz altro il più divertente e unico!
Eravamo con il gommone di servizio insieme ad altre dieci persone, ci eravamo già bagnati, il cielo era tutto coperto, il mare era grosso e sbatteva troppo, così anche con la nostra discreta attrezzatura di snorkeling non vedevamo quasi nulla... risaliamo in barca con le pive nel sacco... e con l asciugamano sulle spalle battevamo i denti dal freddo e ci auguravamo di rientrare in cabina nel più breve tempo possibile e di farci una bella doccia calda... quando la nostra guida, il mitico Fredi, una guida locale con la laurea in biologia e che oltre a parlare discretamente l italiano ci ha raccontato molti aneddoti locali (veri o falsi??? mah...) ci chiede se vogliamo andare a provare in un altra caletta un po  più riparata... nessuno risponde e forse anche lui sa che chi tace acconsente... così che ci troviamo in questo posto nuovo e per non fare la figura dei soliti italiani... ci ributtiamo, un po  a malincuore, solo in quattro... e non appena cominciamo a nuotare (per scaldarci...) ci vengono incontro due giovani otarie... che cominciano a giocare con noi... e nuotiamo insieme, io mi giro per guardarle e loro mi fissano dietro le lenti della mia maschera... e io faccio una piroetta e loro mi scimmiottano e la fanno con me! E Maurizio le guarda avvicinarsi di nuovo con qualcosa in bocca, un mollusco o invertebrato tutto colorato... una delle due otarie glielo sputa, lui lo raccoglie e glielo getta lontano... e l otaria nuota via velocissima e torna con l invertebrato in bocca... glielo ha riportato! Come un cane che gioca con la palla!!!! E nessuno glielo ha insegnato!!!!!! Incredibile!... insomma restiamo lì a guardare queste splendide creature, fiduciose, simpatiche, amichevoli, che si sono avvicinate curiose e giocherellone come è sicuramente nel loro carattere... ma la cosa spettacolare è che vivono in una tale condizione di tranquillità che non temono l uomo... anzi interagiscono con gli uomini e forse ne cercano la compagnia... beh, questo, ci ha veramente colpito! E il piacere di questa esperienza ce l abbiamo avuta disegnata sul viso, tutti, un sorriso forse ebete e fisso che ci siamo stampati in faccia per il prosieguo del viaggio.
E non posso dimenticare la sorpresa, forse timore da principio, poi gioia pura, dipinta sul viso di una bimba di dieci anni che ha nuotato con noi in mezzo alle otarie e che ha riempito di disegni e di commenti festosi il suo diario di viaggio: sul suo viso ho visto la felicità più completa della scoperta e della conferma dei suoi sogni di bambina. E se posso fare quest affermazione, direi che anche solo questo meraviglioso momento ci ha ripagato interamente del viaggio compiuto: anzi abbiamo imparato ancora una cosa nuova. E la fiducia dimostrata da questi animali ci premia della cortesia e del rispetto che evidentemente gli abbiamo dimostrato tutti, ripagandoci con questa amicizia che forse alcuni non meritano ma che queste vicende insegnano a conquistare. Ancora una volta: ne è valsa proprio la pena! Ne vale proprio la pena!Nicoletta Fais
È cominciato tutto per caso, a colazione, in Quebec. Attacchiamo discorso con una coppia di ragazzi maltesi, anche loro sono lì per vedere le balene. Ci raccontiamo incanti e disincanti delle terre viaggiate, lei a un certo punto butta lì, L anno scorso siamo stati in Botswana. Nient altro. Solo, L anno scorso siamo stati in Botswana. Ma lo dice con la faccia di chi, quella volta, l ha fregata la meraviglia e non si è più ripresa dal suo stupore. A voler essere sinceri, siamo andati in Botswana per un incantamento.  Come ti sembra? Secondo te, ci possiamo fidare?  La domanda di mia moglie non mi coglie alla sprovvista. L oggetto del suo interesse è l uomo che guida la jeep nella quale siamo comodamente seduti, una specie di boscaiolo scozzese, ruvido e di poche parole, che sarà la nostra guida nelle prossime due settimane. Quando lo avevamo scelto, quattro mesi prima, ci aveva prospettato un viaggio a stretto contatto con la natura: in tenda nei parchi nazionali, ma con tutti i comfort. Anche allora, la domanda era stata la stessa:  Ci potremo fidare? Non sarà pericoloso? . La perfetta organizzazione del campo ci fa subito capire molte cose. Due aiutanti predispongono le tende, accendono il fuoco, apparecchiano un tavolo che, con le dovute variazioni, servirà per pranzo cena e colazione. Appena fuori la tenda, due rudimentali lavandini (non saprei come altro definire due conche di tela impermeabile dove, al risveglio, viene versata acqua calda) e un parallelepipedo di stoffa verde che, contro ogni aspettativa, si rivelerà un bagno assolutamente accettabile. La sera, cena a lume di candela e visite impreviste: uno zibetto timido, una iena spavalda, due elefanti indiscreti...  Non capita spesso che i primi animali che incontri in un parco nazionale siano dei leoni...  È l alba del nostro primo giorno di safari, a pochi metri da noi un branco di una dozzina di leoni sta sbranando un bufalo. Fa freddo, ma per quanto ci riguarda potrebbe anche nevicare. I primi due rullini di diapositive se ne vanno per quel pasto cannibale. Esterniamo la nostra emozione e la nostra sorpresa a Ewan che sorride e piazza un colpo basso:  Non sarà sempre così, ci saranno anche giornate poco movimentate.  Avranno detto così anche ad Armstrong, mentre camminava sulla Luna. È il tramonto. Centinaia, forse migliaia di elefanti attraversano il fiume Chobe e si avviano lentamente verso la Namibia. A branchi di sessanta, settanta esemplari ripercorrono silenziosamente un cammino millenario in cerca di erba fresca. I più piccoli si appendono con la proboscide alla coda della madre, a mo  di Walt Disney. Una lacrima di felicità attraversa lentamente la guancia di mia moglie, inconsapevole e solitario contrappunto di quella teoria di pachidermi. Per parafrasare il buon vecchio Charlie Brown, la felicità è un cucciolo di elefante.  Questo è un posto perfetto per i ghepardi...  Siamo sbucati su una pianura punteggiata da termitai. I ghepardi hanno l abitudine di arrampicarsi sui termitai per osservare dall alto il proprio territorio di caccia. Le incredibili foto di ghepardi sul cofano delle auto, ci spiega Ewan, hanno origine proprio da questo atteggiamento. Stacchiamo un paio di appostamenti pazienti, niente da fare. Riproveremo in altri posti perfetti per i ghepardi, in giornate ideali per vedere i ghepardi. Timidi ed elusivi, i ghepardi. È passata una settimana. Ormai ci siamo abituati alla tenda, fa parte integrante del viaggio. Ad una cosa non ci abitueremo mai, sono i rumori della notte, le infinite e inquietanti variazioni del silenzio che rendono questa esperienza unica. La cosa buffa è che, una volta tornato a casa, ripensi con nostalgia anche a quelle lunghe ore insonni, a domandarti se è il vento a far scricchiolare quelle foglie oppure una iena che si aggira per il campo. E ti addormenti felice.  Non fate rumore e state tranquilli.  Sei tonnellate di elefante si sono piazzate minacciosamente a pochi centimetri dal cofano della jeep, sventolando rabbiosamente le orecchie. Un attimo prima si stava tranquillamente abbeverando ad una pozza defilata, adesso è lì, incongruo come un mal di denti, che ci fissa adirato. Qualcuno ha detto che l elefante è l animale più lento del creato, finché non comincia a correre. Mia moglie ed io lo fissiamo sgomenti, Ewan non sembra turbato più di tanto. Il pachiderma fa un po  di teatro e si congeda con un ultima, sdegnosa occhiata. Mentre si allontana scuote il capo enorme e le ampie orecchie ammainate come vele hanno un lieve sussulto di vento, un sussulto di rassegnata indifferenza. Comodamente seduti su un divano, ci godiamo lo spettacolo delle giraffe che vanno a bere alla pozza d acqua su cui si affaccia lo Starling Camp. Oggi e domani niente coperta di stelle, si dorme in un campo tendato. Il proprietario, originario dello Zimbabwe, ha costruito una grande terrazza sopraelevata da cui si domina il territorio circostante. Così, oggi, niente safari, ci godiamo lo spettacolo da qui. Un po  come starsene davanti al televisore, solo che lo schermo è grande alcune centinaia di metri.  Dormito bene?  Beh, veramente avremmo sentito dei rumori...  Ah, sì, era una leonessa che radunava il branco per andare a cacciare... Non vi avrà mica spaventato? Sarà passata ad almeno tre-quattrocento metri da qui... Su, vestitevi che andiamo a cercarla.  Come fai a non volergli bene, a uno così? Davanti al fuoco, con un gin tonic in mano, aspettando la cena. Chiacchieriamo amabilmente con Ewan, che si dimostra persona di grande cultura e vasti interessi. È nato in Swaziland, dove suo padre, pilota della R.A.F., era stato trasferito su sua richiesta; poi ha girato il mondo, studiando in Gran Bretagna e in Sud Africa, fino a stabilirsi qui in Botswana per lavorare come guida turistica nei parchi.  Non riesco ad immaginare modo migliore di vivere e di morire , dice. Neanch io.  Ha visto qualcosa.  Nel nostro giro d ispezione mattutino ci siamo imbattuti in un gruppo di leonesse. Una di queste si stacca dal branco e sembra partire in caccia. Si disinteressa di un gatto selvatico in cerca di prede e comincia a circumnavigare un facocero solitario. Molto, molto alla larga. Ma inesorabilmente. Quando il facocero si accorge della manovra della leonessa, è troppo tardi, il resto del branco gli è già addosso. Il facocero viene dilaniato ancor prima di essere ucciso. Scatto un paio di rullini, anche perché l obiettivo mi protegge dalla crudezza della scena. Siamo emozionati, ma anche un po  tristi. Tornando al campo, incrociamo un paio di jeep con a bordo i turisti dei lodge. Tutti eccitati, ci informano di aver visto dei leoni alle prese con una carcassa. Con noncuranza, raccontiamo loro che si trattava di un facocero, aggredito e sbranato da un gruppo di felini qualche ora prima, suscitandone l ammirazione e l invidia. Roba da esseri umani, l invidia. Le dieci del mattino. Scendiamo dal piccolo aereo da turismo con il quale ci siamo concessi un ultimo lusso, un sorvolo del Delta dell Okavango. Tutto il tempo passato a chiedersi se davvero ne sarebbe valsa la pena condensato in un unico, lunghissimo, magnifico istante in cui planiamo su un branco di elefanti in marcia verso l acqua. Da quassù il Delta è un uragano di colori, ocra arancio ruggine rosso verde e blu, tanto, tantissimo blu, spesse pennellate di blu luminoso in cui si specchia un cielo che da aprile a ottobre non conosce nuvole. A pranzo con Ewan e Sallie, com è andata, è stato fantastico, torneremo. Un ultimo pranzo, una breve attesa all aeroporto, poi chiamano il nostro volo. Mentre camminiamo i pochi metri che ci separano dall aereo penso alla colonna sonora che mi è ballata in testa per tutta la durata del viaggio: un Tom Waits graffiato e bevuto per i leoni che si crogiolano al sole, Hemingway di Paolo Conte nell incedere secolare degli elefanti, Dvorak e Brahms per marcare spazi e attese sconfinate. Per quest ultimo passo d addio, però, ci vorrebbe una musica di niente, da intonare a bocca chiusa, una roba che ti resta nell anima e ti estorce un sorriso quando meno te lo aspetti. Una musica povera, un singulto di tre quarti che dica la passione, lo stupore, l emozione che il Botswana ha suscitato in noi. E mentre ascolto la musica di dentro si spalancano le immagini di tanta meraviglia, mi abbandono al ricordo e cerco ancora il contatto con quella terra sacra e fiera che innalza fin qui il suo canto d amore e di dolore: fatshe leno la rona, è un sussurro, canta se stessa, la terra. Fatshe leno la rona, sia benedetta questa nobile terra.  Antonello Bacci
Perché il delta dell'Okavango è uno degli ecosistemi più affascinanti e complessi del pianeta. Perché ci sono pochissimi turisti. Perché al parco Chobe migliaia di elefanti attraversano ordinatamente il fiume per andare a brucare erba fresca in Namibia. Perché qui la notte è un universo inesplorato. Perché la notte i richiami dei predatori mettono i brividi. Perché trascorrere la notte in una tenda tra ippopotami e iene cambierà per sempre la vostra percezione della vita. Perché le infinite variazioni di forma, colore e dimensione degli uccelli fanno girare la testa. Perché la luce del giorno che si spegne lungo i corsi d'acqua lascia senza fiato. Perché la parola "selvaggio" qui ha veramente un senso. Perché il deserto del Kalahari è il mondo prima della Creazione. Perché è un susseguirsi di variazioni cromatiche e luminose che ti sorprendono ad ogni angolo. Perché il passo furtivo del ghepardo è una celebrazione dell'attesa. Perché dopo aver visto i maschi adulti di elefante che al tramonto vanno a bere alle rare pozze del Savuti, l'aggettivo "imponente" si riempie di significati prima sconosciuti. Perché la sera, comodamente seduti davanti al fuoco, sorseggiando un drink, potrete pensare che tutto questo esisteva prima di voi e continuerà ad esistere anche dopo la vostra partenza. Perché questo pensiero vi renderà straordinariamente felici. Perché i leoni del Moremi sembrano cuccioloni mansueti. Sembrano, appunto. Perché questa è l'Africa come uno vorrebbe immaginarsela, quella che ti resta dentro e che ogni tanto ti trabocca dagli occhi sotto forma di lacrima furtiva. Perché tornerete con tutte le fotografie che avete sempre invidiato e che avete sognato di fare anche voi. Perché quindici giorni dentro un documentario del National Geographic non hanno prezzo. Anzi, ce l'hanno ed è assolutamente ragionevole.
Antonello Bacci
Marocco, Natale-Capodanno di alcuni anni fa... Il primo viaggio con Pietro, il primo viaggio itinerante, il primo viaggio con la Darwin Viaggi, il primo in Africa, il primo con la  gazelle du désert , la mitica Renault 4… Il primo viaggio, quello che non si dimentica mai.  E ancora oggi ne ricordo ogni istante. Ma quello che ricordo con maggiore intensità di particolari è lo stupore di trovare una terra così bella, ospitale, inaspettata. Devo ammettere che la scelta era caduta sul Marocco per motivi biecamente economici (era il viaggio in altissima stagione più accessibile), però ciò non toglie che fin dalla partenza sapevo che sarebbe stato un viaggio avventuroso… se non altro pieno di imprevisti, e le aspettative sono state confermate! Oltre a maledizioni varie legate al cibo, ci sono state forature di gomme, giri di…  peppe , acquisti poco avveduti… ma questo fa un po  parte del colore locale… Quello che nessuno di noi si aspettava era di trovare dei paesaggi così imprevedibili in una terra che viene raccontata come una delle meno ospitali del mondo: se si pensa al Nord Africa viene subito in mente il deserto… ma è molto di più.  Oltre alle montagne dell Atlante, dove abbiamo trovato ghiaccio e neve, abbiamo incontrato verdi vallate coperte di mucche al pascolo (Svizzera? No, Marocco), abbiamo visto le antiche mura di una splendida città romana (anche nel deserto? Ebbene sì!), abbiamo ammirato le fortificazioni di un avamposto portoghese che si protendevano sull Oceano, minacciose e potenti come i cannoni di bronzo che ne ornavano i bastioni, abbiamo camminato sulle dune più grandi, maestose e dorate del deserto del Sahara, abbiamo calpestato le vie acciottolate nel dedalo delle città imperiali, abbiamo sentito i sapori, gli odori, gli aromi dei mercati più ricchi di mercanzia del mondo, siamo rimasti abbagliati da immensi palazzi decorati di pietre preziose, abbiamo scambiato qualche parola con i poveri contadini, così dignitosi nel loro lavoro nei campi, sotto il sole cocente, ci siamo commossi vedendo il carico trasportato dagli asinelli più piccoli e più coraggiosi del mondo… abbiamo scoperto una terra ricca di tradizioni e di cultura, così bella da togliere il fiato, così inospitale a volte, così romantica ed esotica da desiderare di non andare più via… il Marocco.  Nicoletta Fais
Arrivarci, non è esattamente una passeggiata. Il ferry che da Vancouver ti porta a Nanaimo, su Vancouver Island, poi una strada che si smarrisce verso la parte Nord dell isola, lasciandosi man mano alle spalle le ultime tracce di abitazioni. Ci vogliono quattro ore buone per arrivare a Telegraph Cove, qualcosa di più se non indovini lo svincolo che precipita verso il villaggio e segui l ineluttabile destino della strada fino a Port McNeill. Il culo del mondo, se ce n è uno. Poche sparute casette in legno affacciate su un braccio di mare blu cobalto, punteggiato di isolette verdissime. Quando c è il sole, fai fatica a immaginare un posto più bello di questo. Uno strappo di motore e stai navigando nel Johnston Straight, cominci a scrutare la superficie. Non devi attendere a lungo. Quei lampi di spuma che fremono vicino alla costa, sono branchi di orche: e a raccontarlo così, non sembra nulla di speciale. Ma per dire le orche, bisognerebbe conoscere parole fluide, eleganti e possenti, lucide carezze. Parole bianche e nere, terribili e consolatorie. Parole liquide come lacrime di meraviglia, parole esatte e inequivocabili come le imponenti pinne dorsali dei maschi dominanti, che fendono immote l acqua per poi allontanarsi senza fretta. Ecco, ad avercele, queste parole, potresti dire le orche. Ma sono parole difficili, che lì per lì ti sembra di saperle e poi ti si nascondono nel cuore e non le sai più tirare fuori. Così. Per dire: io, dopo, sono rimasta in silenzio tre giorni. Patrizia Colagrossi
È azzurra, verde, bianca di spuma. Blu, colore del Mediterraneo. Poi è turchese, opale incastonato tra le montagne, celeste slavato, grigia dell ardesia dei tetti di Parigi. Sciaborda, scorre, giace placida e immota, si insinua, appare improvvisa da dirupi scoscesi. La forma dell acqua, in Canada, è mutevole e imprevedibile; è violenza di fiumi e torrenti, frastuono di cascata, laghi come ferite, estuari immensi come oceani e oceani a perdita d occhio. Ma sopratutto, è acqua di cristallo, pura di ghiaccio, che attira irresistibilmente a sé tutto quanto vi si affaccia: alberi, montagne, case, animali, uomini, sogni. È il cielo, sottosopra. BALENE
Ecco, ci vuole silenzio. Per evocare una balena c è bisogno innanzitutto di un enorme silenzio, un silenzio complice, raccolto, da fare possibilmente da soli su un promontorio affacciato sul mare. Il mare, poi. Se c è, tanto meglio, ma non è che sia proprio necessario. Basta avercelo dentro, il mare. Tutto qui. Allora: fai conto un silenzio così, che non c è mai stato rumore. Piove. Meglio: piove che sembra non abbia mai fatto altro su questa terra. Tu sei lì, sola, sentinella della fine del mondo. Senti freddo, cominci anche a tremare e quasi quasi è ora di andare via. E però. Quello che senti, improvviso ma non inatteso, è uno sbuffo che si porta via tutto quel silenzio, lo scaraventa lontano, lo infrange sugli scogli e poi, dolcemente, lo ricompone intorno a un ultimo batter di pinna. Solo che non è più lo stesso silenzio di prima. Quello è il silenzio incantato che fanno le balene quando se ne vanno e ti lasciano da sola sotto la pioggia, e forse avresti pure voglia di piangere. Una roba speciale. Un dolore struggente, ma che non fa male, il modo più dolce di rubarti l anima. Una meraviglia, a saperla immaginare. HAIKU
La neve zittisce la terra. Batte silenzioso il cuore della foresta Antonello Bacci
Patrizia Colagrossi
Quando parlando con amici e parenti comunicavamo loro la meta di quello che sarebbe stato il nostro viaggio di nozze, le reazioni dei nostri interlocutori erano delle più varie, ma tutte improntate alla meraviglia rispetto ad una scelta così poco consueta. "Falkland? Ma dove stanno?" era la domanda più frequente che ci rivolgevano, perché la maggior parte di loro non erano in grado di collocarle geograficamente in un'area precisa. Alcuni le pensavano nel Pacifico, altri giustamente nell'oceano Atlantico ma non sapevano dire bene a quale latitudine. Qualcun altro le ricordava vagamente come teatro di un recente conflitto bellico tra la Gran Bretagna e l'Argentina ma pochissimi di loro sapevano come era finita quella strana guerra. Tutti però infine ci ponevano un'altra domanda "ma che ci andate a fare?" Già, che ci si va a fare su delle isole di fronte alla Patagonia argentina, poco sopra il continente antartico, spazzate quasi costantemente da venti che i naviganti chiamano affettuosamente "i quaranta ruggenti"? In effetti se si amano i luoghi esotici alla moda, affollati di "bella gente" e con alberghi di lusso dove far sfoggio di guardaroba firmati, le isole Falkland non rappresentano, almeno per il momento, il massimo in tal senso. Ma se si coltivano interessi naturalistici, con propensione per gli ambienti delle latitudini estreme, dove l'impatto antropico è quasi nullo, allora ci si spiega come mai questo insieme di isole sperdute può rappresentare una meta di particolare interesse. L'arcipelago è costituito da due isole principali di discrete dimensioni e dal profilo molto frastagliato, e da altre settecento isole più o meno piccole, parecchie delle quali grandi non più di uno scoglio. La popolazione residente, quasi tutta di origine inglese, ammonta a poco più di duemila abitanti, dei quali almeno 1200 residenti nella capitale Port Stanley, e occupati nei servizi essenziali. Gli altri sparsi nelle fattorie, perlopiù sono dediti all'allevamento delle pecore. Vi sono anche circa duemila soldati, quasi tutti segregati nella base aerea di Mount Pleasant, in attesa di una nuova eventuale, quanto ipotetica, invasione argentina. A dire il vero sembrano come i personaggi del libro di Buzzati "il deserto dei tartari" che aspettano un nemico inesistente. Da tutto questo si può capire come la presenza umana sia molto contenuta e in alcune isole quasi trascurabile o del tutto assente. Ciò ha consentito la conservazione di alcuni ambienti unici con una ricchissima e particolare fauna. Spiccano in tal senso una sessantina di specie di uccelli che stabilmente vi si riproducono, comprese cinque specie di pinguini. Molto interessanti sono anche le presenze di mammiferi marini, tra i quali è doveroso citare le colonie di leoni e di elefanti marini. Quello che sorprende quindi è la diversità di specie, non comune a queste latitudini, legate tra di loro in una catena alimentare che trae dagli organismi marini la sua fonte principale di energia. Non è difficile immaginare quale abbondanza di alghe e di krill sia presente in questa parte di oceano Atlantico. Da non perdere assolutamente l'isola di Sea Lion, una delle più a sud, che si raggiunge solo con un volo della locale compagnia interna, la FIGAS, su aerei a sette posti. Lunga solo una decina di chilometri e larga un paio, nell'unica minuscola fattoria presente è stato costruito un piccolo lodge di particolare bellezza, con una dozzina di posti letto. Su quest'isola Jenny Luxton accoglie i suoi ospiti con calore e cordialità più mediterranee che britanniche. Appassionata naturalista svela a tutti i luoghi più suggestivi dove nidificano le varie specie e volentieri accompagna i suoi ospiti, con l'unica Land Rover che esiste, in un giro di esplorazione. L'isola racchiude un concentrato della fauna delle Falkland, con colonie di pinguini papua, di pinguini Maggellano e gli incredibili pinguini Rockhopper veri piccoli freeclimber dai caratteristici ciuffi gialli come sopraccigli, che ogni sera ritornano alla loro colonia scalando alcune decine di metri di una falesia a picco sul mare. Ci sono i nidi degli eleganti cormorani imperiali e di quelli di Maggellano, i nidi dei caracara striati e quelli crestati , rapaci comuni da queste parti che non esitano ad attaccare i turisti più indiscreti. Vi sono anche coppie di falchi pellegrini che volteggiano sulla spiaggia dove gli enormi maschi di leoni marini si crogiolano al sole, quando c'è. Si può passeggiare quasi ovunque, stando comunque attenti a non finire faccia a faccia con gli elefanti marini che riposano vicino alle spiagge dell'isola. Giorni indimenticabili quelli di Sea lion per chiunque ami questo tipo di emozioni, per i fotografi naturalisti che rimarranno sorpresi dalla quantità e dalla bellezza della fauna locale e da come abbia un minima distanza di fuga, tanto da rendere quasi inutili i teleobiettivi sopra i 300 mm. Pochi lo sanno ma queste isole vennero visitate da Darwin nel suo famoso viaggio a bordo del Beagle, ed impressionarono notevolmente il famoso naturalista quanto le più famose Galapagos. Tutto sommato rappresentano ancora oggi uno degli ambienti meno alterati e più interessanti da vedere e da conoscere. Insomma uno dei posti dove vale la pena di Viaggiare per conoscere. Paola Calvetti e Umberto Ruvolo
La Malesia è un paese delizioso, esotico, ospitale, verde, caldo (troppo caldo in Agosto) ma il ricordo immediato che mi riporta alla Malesia è la conquista del monte Kinabalu. Sì, si tratta proprio di una conquista, perché raggiungere una vetta di 4175 metri non è cosa che a noi cittadini è concesso fare molte volte nella vita e noi siamo stati tra i tanti, tantissimi, che ogni anno raggiungono la cima di questa montagna e che vedono l alba tra montagne coperte di foreste pluviali.



L' ascesa, perché si tratta di salire una serie infinita di scalini, è molto ben organizzata. Prima ci si acclimata: si trascorre una notte in quota (a 1800 metri), si visita la foresta lussureggiante, che ricopre quasi per intero la montagna, si incontra ogni specie di orchidea, rododendri, stelle di natale (?!) di tutti i colori, alberi di felci, l odore del muschio ti entra nelle narici, impari a conoscere varie specie di animali e di piante che si trovano solo in queste zone. La mattina successiva si parte, ciascun piccolo gruppo con la propria guida personale, che non impone il proprio passo ma che si adegua al tuo, rispetta i tuoi tempi, si abitua alle tue soste, ti spiega solo l essenziale, nel poco inglese stentato che conosce, ma soprattutto perché come tutti i montanari è di poche parole, e continui a salire, un gradino dopo l altro, e superi i 2000 metri e la vegetazione non cambia, ti trovi immerso tra alberi ad alto fusto, e l umidità è insopportabile ed ogni passo ti costa gocce di sudore, che ti impregnano gli abiti, e sulle spalle lo zaino semi-vuoto sembra un peso insopportabile, ma c è la preziosa acqua e il cambio necessario per le temperature più rigide previste in altitudine. E sali, sali, sali con le gambe che sembrano fatte di piombo e quando arrivi ai 3000 metri ti accorgi che qualcosa è cambiato, che non ci sono più né abeti né gli altri alberi che vedevi fino a poco prima: all improvviso tutto è più basso e le uniche piante che trovi sono le piante carnivore, piene di un nettare che attira insetti e piccoli animali che scivolano sul bordo viscido e vengono risucchiati all interno della pianta e poi ancora più su trovi solo tundra, muschi e licheni, la tipica vegetazione nana presente ad altitudini maggiori..



Finalmente arriviamo al rifugio dove trascorreremo la notte: all improvviso, dal nulla, si scatena un temporale impressionante, l acqua arriva dal cielo con una violenza inaudita e si formano fiumi d acqua che si riversano, senza incontrare alcuna resistenza, lungo i fianchi della montagna, e noi restiamo lì, imbambolati, a guardare questa cascata incontenibile, contenti di trovarci al coperto; e scopriamo che i tempi di percorrenza sono calcolati per poter arrivare al rifugio prima che scoppi la quotidiana pioggia tropicale, così ci rifocilliamo, facciamo una bella cena calda e si va a dormire.



Sveglia ore 2.00am. Tutti con la torcia in mano ci facciamo luce e cominciamo la salita finale. Visti dal basso siamo una fila interminabile di lucine, sembra un corteo, una processione, c è anche un silenzio ed un raccoglimento che hanno un che di sacro, di rispettoso..e procediamo lentamente, molto lentamente, mettendo un piede davanti all altro e ci accorgiamo che ogni passo ci costa sempre più fatica. Ormai la vegetazione è scomparsa e dopo poco scompaiono anche i gradini: ormai cominciamo ad arrampicarci a quattro zampe, aggrappandoci con le unghie alla roccia, e cercando un appiglio con i piedi, troviamo anche delle funi messe apposta per aiutare la scalata nei punti più scoscesi, e mentre l ascesa diventa sempre più difficoltosa il nostro cuore batte all impazzata, e sembra che debba uscirci dal petto da un momento all altro, e ci fermiamo ad ogni passo per riprendere fiato, e ci facciamo coraggio l un l altro dicendoci che ci siamo quasi, che manca ormai pochissimo alla vetta e finalmente arriviamo, col cuore in gola e le membra doloranti raggiungiamo la cima e ci guardiamo intorno Comincia ad arrivare un vago chiarore, l aurora, che prelude all alba, intorno a noi altre vette, immerse nell oscurità e nella nebbia, insieme a noi ci sono persone di varie nazionalità e ci si scambia complimenti ed impressioni e l atmosfera è emozionata e piena di aspettative per il nuovo giorno che nasce... e finalmente arriva l alba, l alba sul mondo, l alba sulla terra così come l hanno vista i nostri antenati, esattamente come doveva essere all inizio del mondo, intatta e uguale come si ripete ogni giorno dall inizio dei tempi Siamo emozionati ed in silenzio ci godiamo questo momento. Ancora qualche foto ricordo e ricomincia la marcia, in discesa questa volta! E la discesa è ancora più penosa della salita, perché se prima a soffrire erano i nostri polmoni, ora sono le nostre povere gambe che sembrano non farcela più... ogni gradino è un tormento e ci mettiamo su un fianco prima, sull altro poi, per cercare di distribuire la fatica, ma è tutto inutile perché il dolore si distribuisce in modo equo su tutti i muscoli, e soffriamo fino alla fine e portiamo a termine la nostra piccola grande impresa e ci sentiamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto e ce ne andiamo portandoci dietro i ricordi di queste giornate ed un diploma che certifica il compimento dell opera, firmato dalla nostra guida, silenziosa e preziosa come un angelo custode.



Ce l abbiamo fatta! E questa potremo raccontarla perché c eravamo anche noi, quella mattina, sulla cima del monte Kinabalu, Malesia.

Nicoletta Fais

Sono sull'aereo che mi sta portando a Mexico D.F. e leggo qualcosa sulla storia di questo popolo, o meglio di questa razza. Non ci vuole molto perché i miei pensieri entrino in risonanza con i ricordi di un altro 'sud del mondo visitato qualche anno fa, il Brasile. Anche lì, fu storia di uomini e donne sradicati e sottomessi con un implacabile rituale di violenza e coercizione, ammantato di civiltà e benedetto con l'acqua santa. L'allegria di questi popoli condannati alla povertà materiale è l'unico aspetto che piace ricordare per scolorare quanto basta il segno doloroso lasciato in regalo dal progresso. All'aeroporto c'è una confusione rassicurante e gli sguardi e le espressioni, per me indecifrabili, mettono piacevolmente in fuga i miei ultimi, deboli tentativi di 'farmi un'idea'. Ancora non lo so, ma troverò la trascrizione del mio stato d'animo nelle parole di Pino Cacucci: "L'ingrediente più nefasto della cultura occidentale sia proprio questa nostra ormai istintiva consuetudine ad analizzare e giudicare filtrando i comportamenti altrui attraverso una rete di convenzioni che ci illudiamo siano assolute e scontate." Lascio per la prima volta scorrere dentro di me le immagini di vita, i suoni della lingua e i gesti così come li percepisco. E provo un piacere finalmente indescrivibile, in quanto completamente istintivo. I sorrisi e gli abbracci di chi mi accoglie hanno il potere di farmi dimenticare l'ansia che, sia pure sfumata, sempre accompagna i miei viaggi di lavoro. Così, il giorno dopo il mio arrivo in questa terra finora solo orecchiata, ancora stordito nel ritrovarmi sotto i piedi una terra altra, incontro quelli che nei giorni a venire saranno i miei colleghi di lavoro (lei messicana lui argentino, insieme un meraviglioso esempio di raza mestiza) ma che oggi sono semplicemente i miei angeli custodi e le mie guide nel lungo viaggio nella storia del Messico che mi appresto ad intraprendere."Uno" dico in italiano e in spagnolo alla cassiera, e ribadisco la richiesta con un'alzata d'indice, fosse mai. Intorno a me, nell'atrio del Museo Antropologico, sento parlare soltanto messicano, una gradevolissima imitazione locale della lingua ispanica, che ha in più il vantaggio poter essere riprodotta senza troppi sibili e raschi di gola. Biglietto, resto, un gracias marcato dall'inconfondibile accento aquilano, e sono dentro. Passeggio e vedo gli oggetti esposti, leggo le note sui pannelli, prendo affannosamente appunti, mi aggrappo disperatamente alle descrizioni degli oggetti. Poi, inspiegabilmente, i miei passi e i miei pensieri si fanno più lenti mentre galleggio tra il Tempo di Mezzo, gli Aztechi e una riproduzione del campo della ullama. Più avanti, il mio viaggio nel tempo mi regala ricordi futuri di utensili impreziositi da lavorazioni squisite, che regalano una levità sensoriale e immaginifica a strumenti destinati ad un uso monotono e ripetitivo. La sontuosità e la finezza di paramenti e capi di vestiario indossati in occasioni delle cerimonie religiose testimoniano di un percorso di ricerca e di acquisizione di abilità manuali sempre più evolute. Mi viene in mente l'espressione "avere le mani d'oro" e sorrido, perché questa abilità manuale è una ricchezza nel vero senso della parola. Più in là, la celebrazione gioiosa e cruenta del raccolto rappresentata su ampi pannelli in pietra evoca la magia del rapporto di questo popolo con la Natura che, pur capricciosa ed ostile, regala il dono della continuità della vita sotto forma di chicchi di granturco. La lettura delle ricette poi mi coinvolge profondamente: la trasformazione della materia alimentare, che dalla necessità di dover conservare risorse preziose, ha faticosamente conquistato il lusso della varietà delle preparazioni per solleticare e scuotere i sensi. Tra i molti oggetti lavorati con pazienza e maestria ce n'è uno che mi commuove: un vaso di ossidiana, elegantissimo, traslucido, raffigurante una scimmietta. Resto ipnotizzato ad osservarla: e il ricordo recente di quanto visto in precedenza svanisce, spazzato via dalla presenza ormai tangibile di un popolo, di uomini e donne, dei loro affetti, e dei loro desideri e delle loro speranze. Alla fine di questo straordinario percorso museale, ricco dei prodigi della cultura e della spiritualità dei popoli indigeni, come tre colpi al cuore si materializzano altrettanti esempi dello scempio che i popoli conquistatori e saccheggiatori perpetrarono ai danni delle popolazioni indigene e dei loro manufatti: una pietra sacrificale trasformata in fonte battesimale, due pietre poste all'ingresso di un campo per l'ullama utilizzate per costruire un altare, e una piattaforma sempre in pietra lavorata trasformata in macina. Un'epitome impietosa, discreta ma efficace della fine di una civiltà. Nella logica della conquista viene spesso teorizzata la soppressione di ciò che c'era prima, l'annientamento indiscriminato di persone, cose e idee. E in Messico questa teoria fu implacabilmente applicata. Mi incammino verso l'hotel percorrendo il Paseo de la Reforma con la mente vuota e lo stomaco pesante. Le giornate di lavoro, i momenti divertenti e le sortite gastronomiche con gli amici messicani hanno saputo avvicinarmi al senso della messicanità in modo allegro, ma sempre accompagnato da un sottile malessere che definirei 'consapevolezza dignitosa'. Forse certi epiloghi rapidi e ineluttabili non cancellano la memoria, ma nel ricordo, a volte soffice e piacevole, altre tragico e doloroso, producono il curioso effetto di amplificare proprio ciò che era destinato all'oblio.

Ugo Visconti

Questa volta si parte per il Messico. Abbiamo deciso di visitare la capitale prima di spostarci in Baja California. Trascorriamo due giorni piacevoli in questa città così caotica, spostandoci principalmente con la metropolitana tranne la sera. Naturalmente una visita al Museo Antropologico è una tappa d obbligo, per gli amanti del genere, così come non si può mancare di visitare il sito di Teotihuacàn. Noi riusciamo ad essere lì abbastanza presto in modo da evitare le orde di turisti che, ad una certa ora, si affollano lungo i gradini delle piramidi del Sole e della Luna. Questo ci consente anche di scattare delle belle fotografie in tutta tranquillità. Dopo la confusione di Città del Messico ci fa piacere ritrovarci nella rilassatezza di La Paz, capitale della Baja California del Sur, dove ritiriamo la nostra auto. Il clima è piacevolissimo ed approfittiamo subito delle spiagge che si trovano nella zona, non prima però di esserci gustati una buonissima zuppa di pesce fresco, in un ristorantino sul mare. Le spiagge sono tutte diverse ma il colore del mare è sempre splendido e ne approfittiamo per riposarci qualche giorno. Non manchiamo di visitare anche la cittadina di Todos Santos dove conosciamo un simpatico anziano che ci invita a visitare il Centro Culturale del paese ed è molto orgoglioso di illustrarci quello che vedremo. I giorni volano, ma dobbiamo lasciare La Paz per dirigerci verso il nord. La nostra tappa è Loreto e ci preoccupa un po  dover percorrere 350 chilometri senza poter fare delle soste degne di nota. La strada principale che attraversa la Baja California è buona, anche se occorre fare attenzione ai dossi, ai famosi topes e ad eventuali attraversamenti improvvisi di animali. Il tragitto è lungo e soprattutto noioso perché il paesaggio non ci colpisce in maniera particolare. Loreto, a parte la missione che si trova vicino alla piazza principale, è essenzialmente il punto di partenza per visitare l arcipelago che si trova di fronte e per praticare la pesca d altura (attività prediletta dagli americani). L escursione che organizziamo all isla Coronado si rivela entusiasmante per la bellezza del luogo. Finalmente possiamo fare un po  di snorkelling anche se l acqua è fredda. La spiaggia dove ci fermiamo è splendida e ci consente di scattare delle belle fotografie. Durante il nostro soggiorno a Loreto tentiamo di andare alla missione di S. Francisco Javier ma la strada si rivela impraticabile con una macchina come la nostra quindi, dopo pochi chilometri, siamo costretti a tornare indietro. Ripartiamo per Mulegè, che sarà la nostra base nei giorni successivi. Questo tragitto, a differenza del precedente, si rivela molto bello ed il paesaggio ci ripaga continuamente con degli scorci ogni volta diversi. Passiamo dal deserto punteggiato di cactus al mare, costeggiando la Baya Conceptiòn fino ad arrivare all oasi di Mulegè. Il paesino si è sviluppato lungo il rio Mulegè e si affaccia sul mare. Visitiamo la bellissima missione di Santa Rosalia, che si erge su una collina da dove si può ammirare il corso del fiume che si snoda lungo la valle. Trascorriamo pigramente il nostro tempo gironzolando tra le varie spiagge della zona. Non c è che l imbarazzo della scelta, visto che, nei circa 80 chilometri della baia, ci sono diverse calette dove è anche possibile campeggiare. Siamo pronti per la tappa successiva del nostro viaggio che prevede la visita della cittadina di Santa Rosalia, un paesino minerario di origini francesi. Con le sue case in legno tutte colorate ci fa pensare ad un vecchio villaggio del Far West. La nostra destinazione finale è S.Ignacio ed i chilometri da percorrere non sono molti. La strada inizia costeggiando il mare e prosegue lungo una valle dove, improvvisamente, si staglia la sagoma imponente del vulcano de Las Tres Virgenes. Ci inerpichiamo tra le montagne mentre il colpo d occhio sulla valle è affascinante: una distesa sterminata di cactus dove lo sguardo può perdersi all infinito. Arriviamo al paesino di S. Ignacio, un altra piccola ed inaspettata oasi. Qui le uniche attività sono visitare le pitture rupestri della zona oppure, quando è periodo, effettuare un  escursione nella baia di S.Ignacio per osservare il passaggio delle balene. Essendo appena terminato il momento giusto per questo tipo di attività, contattiamo l associazione delle guide locali per un eventuale visita alle pitture rupestri. Ci sconsigliano subito di raggiungere i siti con la nostra macchina vista l impervietà del percorso, per cui decidiamo di limitarci alla visita della splendida missione che si affaccia sulla piazza del paese. Ormai è tempo di tornare indietro e cerchiamo di abbreviare al massimo le nostre soste lungo la strada del ritorno, perché è nostra intenzione raggiungere la punta estrema della penisola. In un paio di giorni e pernottando nuovamente a Loreto, riusciamo a raggiungere San Josè del Cabo e lì rimaniamo sorpresi dal caos. Per la prima volta abbiamo difficoltà a parcheggiare la nostra auto e siamo seriamente preoccupati per quello che troveremo a Cabo San Lucas. Le due località marine sono collegate da un breve tratto di autostrada dove si susseguono una serie ininterrotta di prestigiose catene alberghiere. La cittadina non ci piace e riflette proprio l idea che avevamo in mente. Se però lo scopo del soggiorno è il divertimento, qui ci sono locali di ogni tipo e per ogni gusto ma questo ha penalizzato duramente la natura. Ci siamo spinti fin qui solo per vedere la punta estrema della penisola ma ci rendiamo conto che, soltanto attraversando  in incognito  la proprietà di un hotel della cittadina, possiamo ammirare finalmente l oceano Pacifico che si incontra con il Mar di Cortès.. La nostra caparbietà e curiosità sono così ripagate da uno spettacolo della natura veramente stupendo. Ci inquieta la potenza delle onde che s infrangono sulla riva, tanto che un cartello vieta persino di camminare sulla battigia. Il bilancio di questo viaggio è comunque positivo perché abbiamo scoperto dei posti splendidi e perché penso che ogni luogo vada visto e che l importante è non perdere mai la curiosità per ciò che non conosciamo; ognuno valuta poi ogni situazione secondo le proprie inclinazioni e desideri personali. Buon viaggio a tutti! Alessandra Rossi
Le Seychelles rappresentano da sempre nell immaginario collettivo il viaggio da sogno per eccellenza: spiagge bianche, palme ondeggianti e mare cristallino ma noi abbiamo deciso di verificarlo personalmente. Arrivati a La Digue rimaniamo subito affascinati dallo splendore della vegetazione che, con la sua esuberanza, ci accompagna lungo tutto il percorso fino ad aprirsi come un sipario su Grand Anse, una delle spiagge a nostro parere più affascinanti dell isola. La prepotenza delle onde che s infrangono sulla riva e gli enormi massi di granito che fanno da sfondo alla spiaggia, sono uno spettacolo fantastico da osservare in silenzio. I giorni successivi approfittiamo per girare La Digue abbandonandoci al ritmo indolente delle ore di luce e di buio che si alternano uguali tra loro. Lasciamo con dispiacere quest isola ma siamo curiosi di vedere Praslin, dove troviamo un  atmosfera più viva ma sempre molto tranquilla. Al tramonto, con la bassa marea, la spiaggia diventa immensa e la luce crea sulla battigia dei riflessi grigio-perla mentre ci sembra di passeggiare su un morbido tappeto. Naturalmente, trovandoci qui, non manchiamo di visitare lo splendido parco nazionale Vallée de Mai con la sua vegetazione primordiale: felci enormi, piante di ogni tipo e soprattutto il famoso coco de mer, presente soltanto a Praslin e nell isola di Curieuse. E che dire di Anse Lazio? Del colore smeraldo della sua acqua, del candore della sua spiaggia? Non c è che un modo per credere che tutto ciò esista veramente: partire per un bel viaggio alle Seychelles!
Alessandra Rossi
Madagascar … da quanti anni sognavo di andare in Madagascar, il mio paradiso terrestre! Sono ansiosa di raggiungerlo e sono convinta che le mie aspettative non saranno disattese. La prima parte del viaggio si svilupperà attraverso gli altipiani e subito veniamo colpiti dall alternanza di colori che sfilano davanti ai nostri occhi. Questa è la parte più fertile del Madagascar e la popolazione si dedica quasi esclusivamente alla coltivazione della terra ed all allevamento degli zebù. Il verde brillante delle risaie, dove le donne, chine ed immerse con i piedi nell acqua, ci osservano con un sorriso, si affianca al marrone intenso della terra, che gli uomini lavorano spingendo gli aratri tirati dagli zebù. Nonostante la fatica del lavoro, i loro occhi riescono sempre ad esprimere disponibilità ed accoglienza nei nostri confronti. E  così affascinante il contrasto di colori e sembra di attraversare una coperta di patchwork! Lo sguardo scivola qua e là ed è interessante vedere come la struttura delle case sia diversa ogni volta che cambia la tribù stanziata nella zona.
Le abitazioni sono costruite in terra cruda e sembrano fatte di marzapane, con i lori colori pastello che vanno dal beige al marrone rossiccio delle pareti, al grigio antracite dei tetti di paglia. Alcune sono delle palafitte e spesso si accede al piano di sopra con delle scale esterne di legno. Ovunque, quando ci fermiamo, frotte di bambini ci circondano guardandoci con i loro occhioni scuri e ci regalano dei sorrisi che non dimenticheremo. Sono vestiti di stracci, sono sporchi ma, quello che ci colpisce, è l espressione di gioia sul loro viso che li fa essere stupendi. Durante il tragitto visitiamo dei villaggi di artigiani, in alcuni casi dei veri artisti. Qui ancora esiste il vero artigianato e la globalizzazione, nel suo significato più negativo, non è ancora riuscita ad attecchire. Siamo affascinati dalla maestria con cui queste persone riescono a creare degli oggetti unici. La nostra prossima tappa è il parco di Ranomafana, che rappresenta l ultima foresta pluviale rimasta in Madagascar, in cui avremo modo di osservare i famosi lemuri, simbolo di quest isola.  Ci inerpichiamo in mezzo a boschi di bambù, in mezzo al fango che ci incolla le scarpe al terreno e che lo rende scivoloso, ma siamo contenti di riuscire a vedere una specie abbastanza rara: il lemure dal naso largo. Proseguendo sulla route n.7 finalmente riusciamo a capire perché il Madagascar è chiamata l isola rossa e crediamo che il villaggio simbolo di questa definizione sia rappresentato da Ambalavao. Secondo noi non sarebbe esagerato definirlo il Villaggio Rosso, perché una patina di terra rosso fuoco ricopre ogni cosa! E  una cittadina vitale e meriterebbe una sosta più lunga ma purtroppo dobbiamo ripartire diretti verso il parco dell Isalo, uno dei parchi più visitati del Madagascar. Il paesaggio inizia a cambiare, la terra fertile è pian piano sostituita da una vera e propria savana, con ciuffi di erba secca che spuntano qua e là.
Arriviamo al tramonto ed il paesaggio circostante si accende di un caldo colore ambrato. Il giorno seguente con una guida ufficiale iniziamo l esplorazione del parco. Fa molto caldo e questo ci impone una sosta durante le ore più calde della giornata per evitare insolazioni. Il parco è piuttosto arido e roccioso ed il nostro percorso si snoda attraverso dei canyon, lungo i quali scorrono dei corsi d acqua; ci sono anche delle cascate dove ci si può rinfrescare facendo un bagno. Lasciato l Isalo proseguiamo verso Tulear e questa è sicuramente la parte più noiosa del viaggio. Aveva ragione Elysée, il nostro accompagnatore: qui è tutto piatto, un deserto dovunque si volga lo sguardo e l unica cosa da fotografare sono i famosi baobab che ancora non avevamo visto e che sarebbe impossibile non notare, con la loro forma di albero rovesciato, che si staglia imponente nell azzurro del cielo! Tulear è piuttosto anonima e disordinata ma è il punto di partenza per raggiungere il mare … quello bello!  La mattina successiva con un motoscafo raggiungiamo in un ora di navigazione Anakao. La traversata si rivela piuttosto avventurosa perché il mare è abbastanza agitato, soprattutto quando siamo costretti ad uscire fuori dalla barriera corallina ma, alla fine, siamo ripagati pienamente del sacrificio. Il lodge che abbiamo scelto è splendido e l accoglienza è molto cordiale. Intorno a noi non c è niente ed i giorni seguenti ne approfittiamo per esplorare la zona rimanendo affascinati dalla bellezza del luogo! Da un lato si snodano chilometri di spiaggia incontaminata, dove incontriamo solo qualche pescatore e dove possiamo fare un bagno favoloso … da soli!! Invece, spostandoci nel lato opposto, dopo aver attraversato un promontorio, ci ritroviamo nel villaggio di Anakao e qui ci tuffiamo con gioia nella sua atmosfera pulsante di vita. Le donne vendono oggetti di artigianato oppure sono impegnate nelle loro faccende domestiche, gli uomini sono indaffarati intorno alle loro barche, ritirando le reti piene di pesce e poi … bambini in ogni angolo, che giocano spensierati in acqua, sulla spiaggia e che ci prendono per mano per divertirsi anche con noi. Siamo veramente travolti da tutto ciò e vorremmo rimanere di più , vorremmo aver scoperto prima quest  angolo di gioia. Venire ad Anakao e non trovarsi qui sarebbe stato un peccato.  Questi sono i luoghi in cui si scopre il vero significato di un viaggio in Madagascar, dove le persone confidano ancora nel prossimo e lo accolgono senza scopi reconditi, per il semplice piacere di condividere con un altro essere umano quello che hanno ma soprattutto quello che sono, con un sorriso. Madagascar aspettaci perché ritorneremo presto! Alessandra Rossi
Il Madagascar, si sa, è un susseguirsi di mete dalla caratteristiche più varie: dalla foresta pluviale, all'asprezza delle zone aride, dalla vegetazione sorprendente per varietà e dimensioni alla fauna esclusiva e affascinante. Il mare davvero soddisfa le aspettative più ardite del sub estremo e del pacifico bagnante. La bellezza dei villaggi, la bontà del cibo, i colori, il clima, la gente sempre allegra e disponibile, l economicità, sono elementi difficili da trovare tutti insieme in un unico luogo. Poco si può dire che già non si sappia sulle meraviglie del Madagascar . Ma c è una cosa che si conosce e si apprezza solo viaggiando per il paese: è quello che c è in mezzo; è quello che vedi quando ti sposti dal bel posto A al bel posto B .



Sulle strade, sulle piste, nelle città, sul mare, una miriade di mezzi tra i più disparati trasportano uomini e cose. Taxi-ville, Taxi-be, Taxi-special, camion, Pousse-pousse, carri trainati da zebù, piroghe a remi, a vela, a motore; ogni mezzo può esssere un trattato di sociologia etnografica o soltanto una gioia per gli occhi e per la mente. I Taxi-ville girano solo in città e sono scassate Renault 4 o Citroen Deux-chevaux dai colori e dagli accessori più improbabili; il giallo canarino, il celeste pastello, il rosso vivo si mescolano con le cromature di parafari, borchie e mascherine di ogni tipo. I Taxi-be sono enormi Peugeot 505 che coprono grandi distanze trasportando fino a nove passeggeri, sono considerati veloci ma hanno le ruote lisce, tutte le strutture vicino al cedimento e ogni viaggio diventa una vera avventura. Il Taxi-be affittato in esclusiva da uno o più viaggiatori diventa il Taxi-special. I carri trainati da zebù in alcune zone allagate sono gli unici mezzi in grado di muoversi e riportano a mille o più anni fa. I Pousse-pousse, versione malgascia dei risciò cinesi trainati da uomini scalzi ti fanno credere di essere in estremo oriente ai tempi dell occupazione coloniale. Le piroghe scavate nei tronchi, tenute insieme da corde e con le vele di sacchi cuciti, te le aspetti più in un museo che non come mezzo assenziale nella vita quotidiana di migliaia di pescatori.



Ma il protagonista assoluto, il principe di tutti i mezzi che quotidianamente percorrono in lungo e in largo il Madagascar è il Taxi-brousse, letteralmente taxi della boscaglia . Questo termine indica qualsiasi mezzo non compreso nelle precedenti categorie: si va dal camion telonato con panche di ferro, al pick-up Peugeot con o senza copertura, dal furgone Saviem degli anni sessanta, al minibus giapponese quasi nuovo. Una costante unisce tutti questi mezzi e li raggruppa in una unica categoria: il Taxi-brousse viaggia solo se è strapieno; si può aspettare per ore l ultimo occupante, oppure si può girare per la città in cerca di viaggiatori prima di partire alla volta della meta di solito lontana diverse centinaia di chilometri. Una volta pronti si parte, apparentemente carichi al massimo, ma non basta, lungo il percorso chiunque faccia un segno verrà caricato spostando, incastrando e pressando i passegeri come le tessere di un puzzle. Nel mio ultimo Taxi-brousse un ragazzino e stato estratto dallo sportello anteriore e reinserito dal finestrino posteriore in posizione orizzontale per far posto all ennesimo passeggero che nessuno avrebbe detto potesse entrare. Era un minibus Mazda rosso, abbastanza in buono stato, omologato per quindici posti che ha trasportato da Majanga a Diego Suarez oltre a me altri venticinque passeggeri, totale ventisei su un pulmino da quindici! La montagna di bagagli sul tetto a ogni curva ondeggiava paurosamente, ogni frenata andava programmata per tempo e l autista, anch egli incastrato insieme a altre tre persone sul divanetto anteriore, per cambiare marcia inseriva il gomito nello stomaco di una rassegnata e quasi divertita ragazza.



Duecento chilometri, sei ore; buche, guadi, polvere, asfalto, terra, sosta al controllo di polizia: tutto ok, sosta dal venditore di pannocchie bollite: grande scorpacciata collettiva. Alla fine ci si conosce tutti, nessuno si lamenta e quasi dispiace quando si è arrivati e ci si deve salutare. Duecento chilometri e sembra di averne fatti mille; arti anchilosati, membra addormentate ma una sorta di soddisfazione per aver sofferto, assimilato e davvero vissuto quello spostamento che da noi in Europa sarebbe un evento comodo e banale. I Malgasci sono orgogliosi dei loro Taxi-brousse, li raffigurano nei disegni, nei timbri artigianali scolpiti nella gomma; ma sopratutto li riproducono in scala utilizzando lattine e barattoli di ogni sorta: piccole opere d arte, modellini perfetti con le ruote che girano, sportelli che si aprono, cofano e relativo motore interno. Il Taxi-brousse è il simbolo del viaggio tra i luoghi ma anche tra le abitudini, le personalità, le diversità; è il mezzo che ti allontana da dove eri e ti fa conoscere qualcosa d altro. Il Taxi-brousse ti fa soffrire e vivere lo spostamento con la mente, con il corpo, con gli occhi, con l udito, con l olfatto, è la metafora perfetta del viaggio; perchè viaggiare vuol dire imparare a spostarsi, in tutti i sensi.

Antonello Fratoddi
Per l ultima sera mi siedo sul tetto del mondo. Le gambe a penzolare, lo sguardo che vaga tra il rosso intenso che mi circonda e la caldera, laggiù, solo apparentemente immota. Ho la sensazione che l universo intero stia tramontando. La logica mi dice che questa non può essere la cima del mondo, che sono solo a 2500 metri di altezza, che la caldera ha un ampiezza di appena 20 km. La logica, appunto. Ma sedersi quassù, a penzolare, sul cratere del Ngorongoro non ha nulla di logico. Il cielo, senza preavviso, precipita in un attimo dentro un rosso irreale, la caldera si illumina di mille colori e la vita, al suo interno, si sveglia e si addormenta, interrompe la caccia e un altra ne inizia, ruggisce, respira, corre, cammina, sosta. Si riposa, si affanna, sbadiglia, barrisce, ulula, cinguetta, urla, implora silenzio. Milioni di anni ci sono voluti, milioni di anni perché nel vulcano dormiente si sviluppasse la vita e non ne uscisse più. Solo le aquile, che volteggiano nella loro personalissima tela rossa, sembra possano uscirne e poi, di nuovo, precipitare al suo interno. Mi porto nel cuore tutto quello che ho visto durante il giorno, laggiù, al riparo del mio esoscheletro di ruote e motore. Con Nunzia, Bruno, Nuhu, Emily, a vagare, saltare, sostare. Gli occhi e i sensi allertati, a guardare, fiutare, sentire. Non può esserci altro mondo che questo mi sono ripetuto per tutto il giorno. L altezza mozzafiato delle giraffe, l arancio nero del manto, lo sguardo infinitamente dolce, le ciglia lunghe di un cartone animato. La mole imperiosa degli elefanti, la tenerezza dei cuccioli, seminascosti tra le zampe protettive degli adulti. L eleganza strafottente dei ghepardi, la riservatezza timida e feroce dei leopardi, la goffa trasandatezza delle jene, la solitudine degli sciacalli. La radiosa bruttezza degli avvoltoi, appollaiati a gruppi di tre, come arpie mitologiche. L inconsapevolezza beata delle famiglie di facoceri, la sfrontata immobilità dei leoni, la goffa timidezza degli struzzi, le praterie sconfinate, gli acquitrini, le acque dolci del Magadi, il volo lussurioso dei fenicotteri. Il canto profondo degli ippopotami, la riservatezza nascosta dei rinoceronti. L interminabile viaggio degli gnu e delle zebre, compagni di vita e di paura. L attesa crudele dei coccodrilli, la corsa saltellante delle gazzelle, lo sguardo sperduto dei Dik dik. Le gambe a penzolare, l ultima lingua di fuoco nel cielo, una fiammata, poi il buio. La tela diventa nera, lo sguardo coglie l ultimo silenzioso volo di un aquila in un residuo di luce, poi il nulla. Una frazione di secondo e appaiono le stelle, tutte, non una dopo l altra, ma insieme, fragorose e lucenti, come i musicisti di un orchestra quando si spalanca il sipario. In questa giostra di stelle, le immagini dell Africa continuano a rincorrersi nella mia mente. Vedo un coppia di ragazzini Masai, nei loro costumi iniziatici, il volto dipinto, il sorriso fiero e ammiccante. Ne ho visto uno, steso ai bordi della strada, teneva un bastone nella mano destra e un cellulare nella sinistra. Le gambe a penzolare, i Masai lungo il cammino, i loro villaggi, 50 euro per vederli danzare e visitare le loro capanne, di fango e sterco e paglia. Poi sempre loro, liberi di pascolare tra i leoni, perché sono loro, i leoni, ad aver paura dei Masai. Ne sentono l odore, l odore spaventoso di quando questo era ancora un popolo di cacciatori, e il leone, il re, non dimentica. Nunzia mi poggia una mano sulla spalla, non vieni a mangiare? mi dice, e io, sazio, penso, ancora? Poi mi alzo e vado a mangiare coi denti. Marco Graffi Continua - 2/3
Inesorabilmente sta volgendo al termine questa giornata nel Parco del Tarangire, tra poco salterò giù da questa Jeep e sarà per l ultima volta, domani, quando riprenderemo posto al suo interno sarà per recarci all aeroporto. L Africa sta per svanire dentro i miei occhi, al solo pensiero una fitta dolorosa mi prende allo stomaco, d istinto serro le dita intorno ai montanti del tettuccio sollevabile (Fungoa, lo chiamano da queste parti), quasi volessi lasciarvi la mia impronta, e mi sollevo più in alto che posso. Voglio riempirmi i polmoni, gli occhi, il cuore di questi ultimi momenti, di queste immagini, dei colori, dei profumi, della polvere che mi graffia il volto. Il Tarangire è un paradiso di vegetazione ed elefanti, a volte qualche giraffa, qualche antilope, l ormai familiare traffico di zebre e gnu, ma soprattutto, ovunque, elefanti e baobab. Giganti a confronto. Elefanti e baobab, a perdita d occhio. Solitari o in gruppo, i primi, sempre solitari gli altri, conficcati a testa in giù, con le loro radici al vento. I baobab mi fanno pensare a un urlo di dolore che si sprigiona dal centro della terra. Gli elefanti se ne nutrono, succhiando linfa dalla corteccia durante la stagione secca. I tronchi di questi giganteschi alberi recano il segno del passaggio dei pachidermi, ferite grandi come caverne, dove in passato i bracconieri trovavano rifugio per tendere agguati proprio agli elefanti. Ora, mi dice Nuhu, la vita per i bracconieri si è fatta un po  più dura, grazie anche al blocco del mercato dell avorio. Voglio crederci, voglio sperare che questi maestosi animali non debbano più temere l uomo a causa delle loro magnifiche zanne. Emily imbocca una stradina tra le acacie e mi indica un punto scuro tra la vegetazione, stanotte dormiremo lì. Per raggiungerlo attraversiamo senza difficoltà il letto di un fiume in secca, il Tarangire, dal quale l intero parco prende il nome. Ora sembra una grande strada sterrata, ma durante la stagione delle piogge, quando è impossibile guadarlo con la Jeep, per giungere fino al River Camp, ultima meta del nostro viaggio, ci si carica i bagagli sulle spalle e si attraversa un lungo ponte di legno e corde che possiamo ammirare sospeso sopra le nostre teste. Il River Camp è un posto di una bellezza struggente, le poche tende (una decina al massimo) sono disposte a cerchio intorno al punto di ristoro (hoteli in lingua swahili, chiamarlo ristorante non rende giustizia alla suggestione del posto), interamente costruito intorno a un tronco di baobab. Ad accoglierci troviamo una montagna d ebano sorridente e dalla voce profonda e intensa. Potrebbe interpretare il ruolo dell eroe buono in un libro di Stephen King. Ci offre da bere e ci mette a conoscenza di alcune cose che proprio non dobbiamo dimenticare. Ci indica la nostra tenda e il piccolo patio sul davanti, protetto da una staccionata di legno, se vogliamo muoverci da lì, ci dice, dobbiamo chiamare il Masai. Non è salutare andarsene a spasso per il Tarangire River Camp senza guida, gli animali potrebbero essere in agguato ovunque, qui siamo nelle loro terra. Tutto questo aggiunge un fremito in più al nostro viaggio, alla nostra ultima notte. La sera, per la prima volta da quando ci conosciamo, ceniamo insieme, nelle altre occasioni Nuhu e Emily erano andati a mangiare in qualche villaggio vicino, qui non ci sono villaggi. Per la prima volta, lontani dalla Jeep e da qualcosa di universale che ti attanaglia quando sei tra gli animali, possiamo parlare di noi, delle nostre piccole vite private. Emily ha due figli e una moglie dai quali non vede l ora di tornare, domani, dopo aver lasciato noi in aeroporto, tornerà a casa e dormirà per tre settimane, ci dice ridendo, prima di riprendere il lavoro. Anche Nuhu, tornerà a casa, ma non sa quando riprenderà il lavoro - quando lo richiameranno, dice - e non ha una moglie e neanche una ragazza, è molto giovane ancora. Però spera di sposarsi presto, gli piacerebbe avere una moglie e dei figli, un paio non di più, anche in Africa, aggiunge, stiamo imparando a fare pochi figli. Mi confessa che gli piacerebbe venire in Italia, che non è mai uscito dal suo villaggio, che non riesce a farsi un idea come possa essere Roma. Io provo a sostituire le automobili agli gnu e alle zebre, e magari dire Roma è così, ma rinuncio. Come posso descrivergli una città? Lo invito a venire a Roma, come ne avrà l occasione, preoccupati solo del biglietto aereo, aggiunge Nunzia, del resto non ti preoccupare, ti ospitiamo noi, ne saremo felici. Siamo sinceri, così come sincero è il suo sorriso di riconoscenza, ma tutti sappiamo che probabilmente quella sarà l ultima sera che passeremo insieme. Mentre facciamo colazione, la mattina del giorno dopo, un piccolo gruppo di gnu e zebre attraversa il letto del fiume sotto di noi. Non riesco neanche a immaginare la meraviglia di questo posto durante la stagione delle piogge. Salutiamo la montagna d ebano complimentandoci con lui, questo è un paradiso, diciamo, lui ride felice, poi chiama il Masai per farci accompagnare alla casa. Un ultima frase è per Bruno, gli dice che lui ha un amico italiano che si chiama così, Bruno. Un sacerdote, un missionario. Per raggiungere la strada dell aeroporto, attraversiamo di nuovo il parco, per l ultima volta Emily frena la sua Jeep e ci indica dove guardare: alla nostra sinistra è comparso l elefante più grosso che io abbia mai visto. E  un maschio nero gigantesco, se gli elefanti raggiungono al massimo 6 tonnellate di peso, penso, questo le pesa tutte. Ci guarda per un po , quindi decide che lo abbiamo stancato e muove minacciosamente verso di noi, Emily avvia in tutta fretta la Jeep e riparte, non è il caso di aspettare la sua carica. Per molto tempo questa sarà l ultima immagine che mi porterò dietro dell Africa, finché con il trascorrere dei mesi non tornerà tutto a galla, come un relitto pieno di tesori che fluttuando torna lentamente alla superficie.  Marco Graffi Fine - 3/3
Quando finalmente ci liberiamo dall abbraccio spumoso delle nuvole, mi rendo conto che l aereo è sceso di quota più di quanto mi fossi aspettato. La montagna intorno alla quale stiamo girando è spruzzata di neve, particolarmente imbiancata sulla vetta tondeggiante. Sembra il disegno di un bambino. Lo spettacolo dura pochi minuti, il tempo di rendermi conto della terra sconfinata che ci aspetta laggiù e siamo di nuovo nel grigio inconsistente dell atmosfera. Stavolta non sono nubi, è nebbia. L aereo continua a scendere rapidamente di quota, sento il clangore dei carrelli che fuoriescono, immagino che da qualche parte debba esserci una pista (almeno lo spero!), ma non riesco a individuarla. Poi, improvvisamente, l aereo tocca terra, si rialza e tocca di nuovo, sento i motori che invertono la marcia, i freni che raschiano l aria come un enorme gesso su una lavagna di foschia, e, infine, il lento degradare della velocità e la sosta. Dico a Nunzia e a Bruno di raccattare le loro cose e ci avviamo verso l uscita. Sulla scaletta ci sorprende un freddo pungente e inaspettato, nel tentativo vano di ripararmi dal freddo, tiro su il bavero del giubbotto jeans.  Secondo voi hanno dirottato l aereo? , chiedo loro, poi finalmente poso per la prima volta nella mia vita i piedi in terra d Africa, alle pendici del Kilimangiaro. All interno dell aeroporto ci attende la nostra guida, Nuhu, un ragazzo giovane, alto e magro, dal sorriso contagioso, con lui c è Emily, l autista. L uomo che per una settimana ci guiderà a bordo del suo Defender in un sogno di terre e animali. Arusha è a un ora di macchina, lì passeremo la prima notte del nostro viaggio. Una sosta di riposo, prima di avventurarci con l entusiasmo e l inconsapevolezza dei neofiti nelle emozioni del nostro primo Safari. Giunti ad Arusha, mi chiedo semplicemente dove sia, dov è la città? So che è il capoluogo di questa regione della Tanzania, che ha circa 150.000 abitanti, ma per me è una città inesistente, invisibile. Nuhu col sorriso al quale già mi sono abituato, e che già so mi mancherà il giorno che ci saluteremo, mi fa un segno ampio con le braccia, come a dire Arusha è qui, intorno a te, ovunque. Provo a scrollarmi di dosso l idea che ho di città. Sono un occidentale, mi dico, non ho mai messo i piedi fuori dell Europa, se non per recarmi negli Stati Uniti, potenziando nei miei occhi l immagine familiare e consolidata del mio continente. Qui sono altrove, mi dico, in un altro mondo. Devo imparare a guardare diversamente, devo imparare a vedere. Lentamente inizio a mettere a fuoco il caos: vedo gli uomini, le donne, i bambini, i banchi di frutta, gli animali, (mucche e capre, neanche un antipasto di quello che vedremo tra qualche ora). Vedo i bus, carichi fino all inverosimile, di uomini, donne, bambini, animali. E ancora, a perdita, d occhio, uomini, donne, bambini, animali. Questa è Arusha, ovunque, una città di persone e animali… niente case. Due cose mi colpiscono. La prima è un uomo seduto sulle proprie gambe (ne vedremo tanti nei prossimi giorni) che vende due frutti, due di numero, non so che frutti siano, forse Nuhu me lo sta dicendo, ma io sono affascinato dalla calma di quell uomo, dalla sua attesa. Chissà quanto tempo resterà seduto sulle sue gambe prima di riuscire a vendere quei due soli preziosi frutti? Probabilmente tutto quel che ha. La seconda cosa che mi colpisce è l uccisione di una capra: c è un capanello di uomini e la capra legata con una corda, sono in mezzo alla strada, o forse quello è un marciapiede, difficile dirlo. Un ragazzo si avvicina alla capra, le solleva il collo e la sgozza. Tutto è durato pochi secondi, guardo Nunzia e Bruno, loro non si sono accorti di niente, chissà a cosa stanno pensando, chissà cosa c è nei loro cuori, il viaggio, in fondo, non è neanche iniziato.  Marco Graffi Continua - 1/3
Quando mi chiedono com'è la Tanzania, ci metto sempre un po'a rispondere. Incapace di racchiuderla in un'unica parola, mi sono sempre rifugiato nell'enumerazione degli animali, nelle infinite variazioni di albe e tramonti, attese e avvistamenti, rumori sconosciuti nelle notti stellate. E aggiungo sempre: appena posso ci torno. Ma quello lo dico più per me che per i miei interlocutori. Dal punto di vista logistico, sono due gli itinerari possibili in Tanzania. Il primo copre i parchi del nord: Serengeti, Ngorongoro, Tarangire, Manyara... Entrando nel Serengeti la prima cosa che ti viene in mente è: qui l'estraneo sono io. E ringrazi il cielo che sia così e speri che ancora sia così a lungo. La seconda cosa che capisci è: per sopravvivere qui bisogna essere grandi, forti e veloci. E non distrarsi mai. L'uomo, qui, non avrebbe scampo. L'agguato sonnolento dei leoni nell'erba bruciata della savana, la cruenta immobilità dei coccodrilli, l'insospettabile irascibilità degli ippopotami non permettono errori... E se pensate che gli elefanti siano lenti (io ho smesso di farlo), vuol dire che nessun pachiderma ha mai galoppato verso la vostra jeep per reclamare il proprio diritto di proprietà su un albero... Di Ngorongoro, un immenso cratere spento, posso dire solo che nessun documentario potrà mai rendere conto della struggente bellezza del posto, dei miracoli rosa di migliaia di fenicotteri e della nostalgia che accompagna le ombre della sera. Volendo, potrebbe già bastare per tutta una vita di ricordi. Il secondo itinerario porta a sud, ai parchi del Ruaha e del Selous, passando per Dodoma, la nuova capitale della Tanzania: il nulla all'incrocio di due strade. Per dire: gli edifici governativi costruiti a Dodoma sono sempre deserti, perché i parlamentari si rifiutano di spostarsi qui da Dar es Salaam. Ancora pochi chilometri e lo scenario cambia completamente. Al Ruaha National Park, i bungalow si affacciano sull'omonimo fiume. Ricordo che aspettavamo la cena guardando branchi di elefanti pascolare sulla sponda opposta, mentre l'oscurità cominciava ad avvolgere il parco. Non mi sembra di aver avuto nostalgia della televisione. Il Rufiji River Camp, nel cuore del Selous Game Reserve, si affaccia sull'omonimo corso d'acqua che attraversa il parco, popolato da colonie di ippopotami che, placidamente inattivi di giorno, trascorrono la notte brucando l'erba e intonando una ninna nanna di grugniti da far accapponare la pelle. Il Selous è il mondo prima della creazione, un caos primordiale di acqua e cielo che lascia senza fiato, brulicante di coccodrilli e ippopotami, elefanti, giraffe, antilopi e uccelli di ogni razza e specie... E poi sono tornato a casa. Un giorno, rincasando dal lavoro, ho intravisto qualcosa muoversi furtivamente dietro una recinzione. L'illusione è durata pochi secondi, il tempo di vedere un cane randagio sbucare stancamente da un cespuglio, ma l'emozione è stata ugualmente fortissima. E allora ho provato a immaginare l'attimo in cui, chissà quando, nel cuore di un uomo, forse un viaggiatore, si affacciò qualcosa di talmente inguaribile da richiedere la sutura di un nome nuovo, l'istante in cui si fu costretti a coniare il nome mal d'Africa. Antonello Bacci
Sono passati circa 5 anni dal mio ultimo viaggio in Kenya e se avrete voglia di leggere queste righe, proverò a spiegare con parole ciò che di immenso i miei occhi hanno colto e trasmesso alla mia mente affinché ne custodisse vivo il ricordo. Arrivata all aeroporto di Mombasa già noto le prime differenze con il Nostro Mondo, e mi accorgo che qui la gente sorride, saluta si prende cura di te anche se non ti conosce ed è la prima volta che ti vede e mi fa strano e rifletto sul perché noi civilizzati non sorridiamo mai, siamo sempre arrabbiati anche quando andiamo in vacanza, così scontrosi, ostili con gli altri eppure, penso io, basterebbe solo un  ben arrivato ,  buongiorno ,  arrivederci ! Quindi perplessa e pensierosa mi avvicino al ragazzo del transfer che mi accompagna su un pulmino vecchio e mal messo che una volta raccolto tutti gli interessati, ci avrebbe condotti nella struttura prescelta. Arriviamo in questo piccolo boutique hotel che da subito si capisce essere un ambiente molto accogliente ed intimo…ed anche qui non si fa altro che salutare sempre e comunque a tutte le ore ed in qualsiasi momento. Ad ogni Jambo (questa è la parola in lingua swahili per dire Ciao) sulla mia bocca si stampa un sorriso ed io mi sento meglio. Le giornate qui in questo resort dall atmosfera magica, trascorrono all insegna del relax e dalla pace assoluta, sembra come se il tempo si sia fermato e mi spaventa il fatto che prima o poi dovrò tornare alla vita caotica di sempre, ma questo si sa fa parte del viaggio, quindi cerco di non pensare e continuo a vivere questo sogno. Sapevo che sarebbe stato emozionante e che non sarei potuta ripartire senza aver fatto il safari, d'altronde era stato quello il motivo del mio viaggio quindi non ci penso due volte…domani si parte per lo Twavo Est! Trascorro la notte pensando a quello che avrei visto, un turbinio di immagini confuse scorrevano nella mia mente, animali, colori, luoghi, sensazioni, ero davvero emozionata. La mattina ad attendere me ed altri ospiti del Resort un pulmino anche questo mal ridotto, che in circa 3 ore e mezza ci avrebbe portato al campo tendato dove avremmo trascorso la notte…per quanto io possa essere precisa nel descrivere ogni minimo particolare, non riuscirei a trasmettere le sensazioni che si provano durante un ‘esperienza simile, il safari è il momento in cui ti accorgi di quanto immensa e feroce sia la natura e di quanto si lasci vivere in totale sicurezza purché la si rispetti e ci si avvicini in punta di piedi. Così mentre fai un safari può ascoltare in silenzio il fruscio delle boscaglia mossa dagli animali che si muovo intorno a te, l odore della savana di un colore rosso intenso quasi indelebile, i suoni della natura e tu solo uno spettatore che assiste impotente a questo spettacolo dove i grandi predatori si muovono secondo delle leggi ben precise, le leggi che regolano il ciclo della vita. Ed ecco che, prima di andare a cena, dopo aver concluso una piacevolissima giornata di safari alla ricerca dei Big Five (cosi vengono chiamati leoni, bufali, elefanti, leopardi e rinoceronti), mi trovo ad assistere a quanto di più bello ed unico poteva capitarmi, una scena di caccia che prima di allora avevo visto solo nei documentari in tv: da lontano sette leonesse belle e maestose abbattersi su di un elefante mentre ignaro di ciò che gli stava per accadere, continuava a bere in una pozza d acqua posizionata a circa 10 metri di distanza da noi, probabilmente abbandonato dal branco perché malato. In quel momento avrei voluto urlare a quel povero elefante di andarsene, di girarsi, di scappare, ma nulla siamo rimasti tutti li a bocca aperta e le lacrime agli occhi per l immensa gioia e allo stesso tempo tristezza di assistere ad un evento simile. Il mio safari era terminato, avevo contratto una malattia nota a tutti il mal d Africa! Ora bisognava tornare alla vita reale dove gli animali della savana siamo noi e la savana la città nella quale viviamo fatta anche questa di colori, suoni, persone che nemmeno vagamente ricordano il Paese dai mille volti. Chiara Narcisi
A come Aborigeni – Custodi della terra australe, vivono in pace da 40.000 anni con le loro facce pasoliniane e la loro cosmogonia fantastica. I bianchi arrivati qui li consideravano inferiori perché non conoscevano la ruota. Ma provateci voi, a spostarvi per il deserto su un carro trainato da canguri… B come Barna Mia – Uno dei segreti meglio custoditi del WA, un fazzoletto di foresta primigenia assediato da ettari di terreni agricoli, un alfabeto di alberi che racconta una meravigliosa storia di evoluzione. E la possibilità di vedere molti dei più rari e straordinari marsupiali di questa terra. B (2) come Birra – Prosperano le microbirrerie, nel mondo sottosopra, e molte sono di assoluto livello. Per gli appassionati (e a giudicare dalle pance, qui in WA ce n'è un bel po'), una vera goduria! C come Cielo – Qui, il cielo è uno sterminato pascolo di nuvole. D come Delfini – A Monkey Mia sciabordano inopinatamente a riva di mare, liberi, in pochi centimetri d'acqua, dove una carezza trattenuta è gesto di rispetto. Un'esperienza spiazzante, unica nel suo genere, anche se personalmente li ho trovati più emozionanti in mare aperto. E come Echidna – F come G come Guida a sinistra – Un po'di fatica si fa, all'inizio, e magari nel traffico di Perth non è proprio intuitiva. Ma basta lasciarsi alle spalle la città e il traffico si dirada fino ad dissolversi completamente procedendo verso nord. E la guida a sinistra cessa di essere un problema. G come Galah – Stravaganti pappagalli in livrea rosa confetto che accompagneranno il vostro viaggio con un incessante chiacchiericcio. Ce n'è talmente tanti che alla fine ti dimentichi quanto siano belli... H come Hotel – Ma anche come B&B, lodge, ostelli, etc. Poca roba qui nel WA, gli alloggi da questa parte del mondo sono pochi, costosi e/o spesso pieni. Prenotate in anticipo, siate pronti ad adattarvi e fate ricorso all'arte di arrangiarvi. Se invece siete adepti della setta dei campeggiatori/camperisti, le cose vanno molto meglio: i sandgropers (v.) sono anime itineranti e si sono costruiti un paese a loro immagine e somiglianza. I come Inglese – Non parlate inglese? Nessun problema, neanche i sandgropers (v.). Armatevi di pazienza e senso dell'umorismo, tirate fuori le mani dalle tasche e iniziate a gesticolare: siamo pur sempre italiani, no? K come Kalbarri, Karijini, Kakadu, Kimberly… – La Terra Primigenia per eccellenza, da sorvolare camminare guadare fino allo sfinimento. J come L come Leeuwin Estate – M come Margaret River – La regione vinicola del WA è assolutamente magnifica. Pappagalli, eucalipti e uno shiraz sopraffino. N come Ningaloo Reef – Ce ne vuole, per arrivare fin qua. Ma se siete venuti in Western Australia, e avete avuto la pazienza e la caparbietà di guidare fino a Coral Bay e non vi siete fatti scoraggiare dall'infimità del luogo, fate un ultimo, decisivo sforzo: salite su una barca. Rovesciate la prospettiva, e scoprirete un mare che non ha nulla da invidiare alle Maldive e soprattutto una fauna con pochi uguali al mondo. Squali balena, delfini, tartarughe, dugonghi, balene, mante, razze, squali, pesci tropicali e una barriera a tratti straordinaria, il tutto a portata di snorkelling. Ah, dimenticavo la cosa forse più importante: sarete (quasi) soli, quassù. O come Orari (dei negozi) – Dalle 10 di mattina alle 5 di pomeriggio. Il che sarebbe un problema, se ci fossero davvero dei negozi e qualcosa da comprare. Tranquilli: non c'è nulla di tutto questo, in WA… O (2) come Off the beaten track – Se siete alla ricerca di sentieri poco battuti, meraviglie sconosciute dagli stessi locali, folgorazioni inattese, sappiate che qui ci sono alcuni dei luoghi più belli e meno frequentati del pianeta. P come Previsioni del tempo – Da inaffidabili a completamente inaffidabili, con rovesci temporaleschi in giornate assolate e concezione surrealista della nuvolosità, soprattutto lungo la costa. Q come Quando andare – Prima possibile. OK, scherzi a parte, tutte le stagioni sono buone ma con qualche distinguo. Se intendete salire verso nord, e soprattutto verso il Kimberley e il Kakadu NP, è preferibile la nostra estate; per la zona a sud, il nostro inverno corrisponde alla piena estate australe e il tempo sarà magnifico. Primavera ed autunno sono eccellenti compromessi in entrambe le aree. R come Roadhouse – S come Sandgropers – Abitanti del WA. Esseri umani piuttosto rudimentali (soprattutto al nord), schietti, eminentemente pratici e vagamente omerici (nel senso di Homer Simpson). Si spostano su macchine enormi, spesso in compagnia di roulotte, camper e motoscafi. Parlano una lingua tutta loro ma a differenza di altri non tentano di spacciarla per inglese (v.). T come Telstra – La principale compagnia telefonica qui in WA, quella che garantisce la migliore copertura e, a detta dei locali, la peggiore assistenza. Ma basta comprare una scheda e un mese (30 dollari) di credito, e potrete parlare, inviare SMS e navigare in Internet a volontà. T (2) come Tree Top Walk – U come Unesco – Ha recentemente riconosciuto il Ningaloo Reef (v.) come World Heritage Site. Ma se avrete la fortuna di girare un po'il WA, la domanda che vi porrete più spesso sarà, e questo perché non è patrimonio dell'umanità? V come Vino Y come W come Whale Watching – Assolutamente fantastico lungo tutta la costa, a Ningaloo abbiamo visto nuotare e spanciarsi centinaia di megattere. Uno spettacolo indimenticabile, un'allegria del cuore. W come Windawarri Lodge (Tom Price) – Se volete visitare il Karijini, dovrete alloggiare al Windawarri Lodge, la struttura ricettiva della società mineraria Rio Tinto dove, per un prezzo che a Parigi che vi garantirebbe una suite al Ritz, avrete diritto ad una camera monacale con un abbozzo di bagno, ad essere svegliati ogni mattina alle tre e mezzo da un corteo di caterpillar e a mangiare in compagnia delle maestranze locali in una mensa aziendale che la sera apre alle 4 e chiude alle 8.30, dove è vietato entrare con scarponi e braccia nude e in cui i cibi sono contrassegnati da un cartellino con il relativo apporto nutrizionale. Detto questo, il Karijini (v.) è una meraviglia assoluta. Z come di Antonello Bacci
Via dei Campani, 63
00185 Roma
tel.: 064941161
fax: 064940472
info@darwinviaggi.com
 
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